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mercoledì 26 marzo 2008

I Tappeti tibetani - Approfondimento

La produzione locale dei tappeti tibetani e molto antica, il suo culmine massimo lo raggiunse tra il Seicento e l'Ottocento per soddisfare alcune funzioni litrgiche: si annodarono infatti numerosi manufatti destinati ai templi. Molto utilizzati erano i cosiddetti tappeti a colonna con dimensioni oscillanti tra 0,60 x 0,80 e 1,80 x 3,60 metri, che venivano poi legati con robusti lacci ai fusti delle colonne dei luoghi di culto; diffusi anche i tappeti da meditazione, su cui i monaci si sedevano in preghiera per ascendere alla buddità, e anche le lunghe corsie utilizzate da porsi sulle panche dei templi. Si producevano inoltre manufatti per sellare o bordare gli animali da soma, spesso resi più resistenti da fodere in stoffa o in feltro; in tale ambito risultano particolarmente originali alcuni coprisella dalla curiosa forma a farfalla.
I tibetani instauravano con il tappeto una sorta di simbiosi e attribuivano ai segni di questi tessuti valenze di tipo scaramantico, come nel caso del fior di loto e del pipistrello, o propiziatorio, come per i tessuti a scacchiera bicromi , che venivano posti davanti alle porte o alle finestre col duplice scopo di mantenere il tepore e allontanare gli spiriti maligni.
Gli antichi esemplari tibetani furono realizzati con lane locali e rivelano un'annodatura grossolana. Nei disegni sono riconoscibili influenze indiane e cinesi, le immagini riproducono spesso i più famosi simboli buddisti però più suggestivi nei colori rispetto a quelli cinesi. Fiori di Loto, Tigri, Draghi, Fenici, Melograni, Peonie, e ancora il Nodo Senza Fine e il Mandala – provengono da un passato lontanissimo e fanno parte della memoria collettiva del popolo che li ha creati. Da ricordare i tappeti monocromi, che rappresentano il vuoto, inteso a esprimere concettualmente la possibilità infinita di manifestazioni del buddhismo tantrico ed i tappeti con la Tigre che erano destinati ai Lama.





Ecco un eccezionale documento fotografico di immagini di tappeti e di vita tibetana: http://www.tcoletribalrugs.com/article6.html

Infine un breve significativo passaggio del famoso film "Sette anni in Tibet" con Brad Pitt.

P.S: per una visione ottimale del filmato è consigliabile bloccare la musica del sito intervenendo sul pulsante stop dell'mp3 virtuale presente nel menù a sinistra del blog.


1 commenti:

antonio ha detto...

Volevo aggiungere che il tappeto tibetano, praticamente sconosciuto in occidente sino alla fine degli anni cinquanta, è annodato con modalità esecutive che trovano scarso riscontro in altre realtà produttive. Questa tecnica chiamata a “cappi recisi”, in altri casi conosciuta solo attraverso studi archeologici legati all’Asia occidentale ed all’Egitto, viene realizzata con l’aiuto di canne, o assicelle, su cui è avvolto il filo che poi sarà tagliato dando origine al vello. Certi kaden, visto il tipo di annodatura adottato, assomigliano a dei feltri. I disegni sono molto simili a quelli cinesi, però, in molti casi, si può notare una diversa vena interpretativa. Voglio anche ricordare dei piccoli annodati “ornamentali”, con dimensioni varianti fra i 15 e i 35 centimetri, dalla forma di teste di animali, come la tigre, o di simboli bene augurali. Chiamati “thongheb o tekeb”, erano appesi nelle case o nelle tende, ma anche posti sul muso dei cavalli o di animali da soma. Il loro scopo era tenere lontano malefici e disgrazie. Altri annodati erano realizzati allo scopo di coprire l’entrata della tenda, esattamente come gli engsi turcomanni. A tutti una buona serata.