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sabato 27 marzo 2010

Il lungo inverno 2010 del tappeto

Febbraio e marzo, due mesi da dimenticare, per il freddo, la crisi e anche l'influenza. Oggi è sabato e gente in giro e per i negozi ce n'è, ma la crisi c'è, è inutile negarlo, si sente eccome. I primi mesi di questo 2010 sono stati molto lenti per quanto riguarda il rug-business, soprattutto qui a Torino, dove hanno anche chiuso alcune realtà importanti. Meno vendite e tanta manutenzione anche di quegli annodati commerciali sfiniti che sarebbero invece ormai da sostituire. Ormai è chiaro che la gente non si sente sicura e preferisce aspettare e rimandare gli acquisti considerati meno primari. E' un peccato, perchè tutto ciò che rappresentava una conquista della civiltà sta diventando ormai un lusso al quale molte famiglie sono costrette a rinunciare, anche una casa confortevole e ben arredata. Poichè sono una persona positiva, sono sicuro che questa primavera le cose miglioreranno per il settore e per il mercato in generale, ma nell'attesa di questo cambiamento, poichè non si vive del solo esercizio accademico della materia e bisogna invece confrontarsi con le realtà economiche del mercato e i bisogni veri delle persone, sono costretto per fronteggiare la crisi, a concentrare momentaneamente tempo e risorse solo più sui progetti meramente commerciali, tralasciando tutti gli ambiziosi progetti culturali che avevo iniziato e/o che avrei voluto intrapprendere o proseguire. Voglio preannunciare a tutti i lettori, soprattutto a quei tanti privati che desiderano vendere il proprio tappeto usato, che sto realizzando proprio per loro alcuni importanti progetti tra i quali un servizio esclusivo ed innovativo mai realizzato finora su internet, si tratta solo di aspettare ancora  poche settimane, giusto il tempo di definire alcuni dettagli e la parte grafica dei nuovi siti/portali in via di realizzazione; poi finalmente svelerò il mistero.
Fatta questa premessa, desidero significare qualche concetto:
Ho sempre anteposto al profitto, valori come il dovere e la passione.
Dovere: il sentirsi in dovere di fare qualcosa per riequilibrare e rendere più onesto e trasparente un mercato che di fatto aveva allontanato nelle sue manifestazioni più becere il cliente dal tappeto.
Dovere: il dovere di salvare un'arte ed un artigianato antichissimi di migliaia di anni e che negli ultimi 20, la globalizzazione sta definitivamente ammazzando.
Passione: la passione per un'arte ed un artigianato, ma anche di un mestiere originalissimo che mi è stato insegnato e tramandato di generazione in generazione e del quale non voglio essere il punto di arrivo.
Se credete nell'utilità culturale e commerciale di quello che ho fin'ora fatto, se credete nella genuinità e nell'onestà intellettuale dei miei progetti, sostenete questo blog e gli altri miei siti. In momenti di crisi come questa, leggere e vedere un seguito non silenzioso di sostenitori è la migliore motivazione per proseguire la mia "mission".

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domenica 21 marzo 2010

Il tappeto orientale è eco-economy

Il tappeto annodato è una grande conquista delle genti del passato, un prodotto totalmente artigianale e naturale, a impatto ambientale nullo. E' sempre stato il simbolo di una filosofia ecosostenibile, la più vera e la più sincera, quella delle genti dell'Asia centrale. Queste originarie popolazioni nomadiche, per vivere, utilizzavano, nella misura dello stretto necessario, ciò che l'ambiente forniva, e il tappeto (fatto con il manto delle pecore allevate) diventava così il microcosmo della yurta, trasformandosi di volta in volta in oggetto ornamentale, in un paramento scaramantico, in un portavivande e un portaoggetti, in una sacca o in una sella, addirittura in una porta! Anche oggi l'annodato riflette nel suo uso originario, nelle sue proprietà e nel materiale con il quale viene prodotto lo spirito di chi lo aveva inventato, esso arreda, decora, isola dal freddo. Tutto ciò lo rende uno straordinario oggetto di arredo attualissimo per le nostre case, utile ed ecologico. Prodotti in fibre naturali (principalmente la lana) i tappeti orientali, per loro proprietà, isolano dal freddo le superfici di marmo, pietra o graniglia, contribuendo così nel periodo invernale ad un minore consumo energetico per riscaldare l'ambiente domestico, e proseguendo così il loro originale e primigenio scopo di realizzazione.

venerdì 19 marzo 2010

Gli sconosciuti tappeti curdi: Herki, Sauj-Bulagh, Van, Kurdì....

Il Kurdistan (in curdo Kurdewarî), ossia paese dei curdi è un vasto altopiano sito nel Medio Oriente e più precisamente nella parte settentrionale e nord-orientale della Mesopotamia. Non è uno stato indipendente, ma una regione geografica abitata prevalentemente dai curdi, politicamente divisa fra gli attuali stati di: Turchia (sud-est), Iran (ovest), Iraq (nord) e, in minor misura, Siria (nord-est) ed Armenia.
L’arte della tessitura della popolazione curda vanta tradizioni antichissime e manifatture originali; a causa però della mancanza di uno stato Curdo Libero, queste manifatture sono state sempre inquadrate nell'ambito delle rispettive ed attuali produzioni geografico/politiche senza che ad esse venisse in alcun modo riconosciuta la loro reale origine culturale, storica ed etnografica come prodotto curdo, specialmente per quanto riguarda il mercato estero. Avviene così che tappeti curdi come i Senneh, i Gouchan o i Bijar realizzati nel Kurdistan persiano vengono genericamente chiamati tappeti persiani, mentre i Van, i Malatya, e i Sivas, vengono riconosciuti come tappeti turchi. Ma l'onta peggiore, l'hanno subita le produzioni del Kurdistan iracheno e di quello siriano, essendo infatti l'Iraq e la Siria patrie minori del tappeto, prive di significative produzioni storicamente riconosciute, anche quelle di origine curda hanno finito con il condividere la sorte dell'anonimato, diventando così a tutti gli effetti produzioni irachene o siriane poco importanti nell'ambito del mercato internazionale.
A causa di questo pasticcio storico, la conoscenza del generis curdo a tutt'oggi, si ferma spesso alle più conosciute tipologie e manifatture provenienti dalle realtà Turche e Iraniane, senza invece tenere conto dei ben più numerosi esemplari in circolazione, ognuno dei quali con proprie e rispettive caratteristiche.
Al contrario di altre produzioni, i tappeti curdi sono stati studiati e descritti solo a partire dal XIX secolo e tutt'oggi vengono per lo più prodotti in piccole realtà rurali, per un uso interno, studiare questi tappeti, (alle volte anche solo incontrarli) significa poi viaggiare in realtà remote e turbolente spesso sconsigliate dalla Farnesina e classificate come aree pericolose, a causa dei fermenti secessionistici tutt'ora in atto. Questi due fattori, hanno giocoforza agito negativamente sullo studio dei tappeti curdi, generando spesso una misconoscenza del generis che si riflette oggi anche nella scarsa bibliografia ad essi dedicata.
Come se non bastasse, oggi, queste realtà sono anche sottoposte a spopolamento per le ragioni politico/sociali sopracitate con (nel caso Turco) grandi spostamenti di migliaia di famiglie, che dai villaggi migrano nelle metropoli, dove non è poi più possibile mantenere le tradizioni.
Va quindi detto, che oltre le più conosciute manifatture curde della Turchia e dell'Iran, esiste un intero panorama di tappeti curdi meno comuni, come ad esempio i Sauj-Bulagh o gli Herki. Spesso queste tipologie "minori" che differiscono le une dalle altre solo per piccole differenze, vengono genericamente chiamate "Kurdì" o "tappeti curdi". E' una generalizzazione che il settore del XXI secolo non dovrebbe permettersi, visti e considerati anche i livelli notevoli di questi annodati, che sono interessantissimi, indipendentemente dall'inquadramento politico nel quale sono stati o tutt'ora vengono realizzati.

domenica 14 marzo 2010

Filikli e Tulù: fossili viventi di un annodatura primigenia

L'invenzione del tappeto si colloca presumibilmente nella stessa epoca neolitica a cui risalgono altre invenzioni che diedero origine a quella che è chiamata l'età del bronzo. Nato come mezzo per isolarsi dalla nuda e fredda terra e dai rigidi climi a cui le popolazioni neolitiche erano sottoposte, questo straordinario manufatto accompagnò l'uomo e le sue esigenze, plasmandosi nella tecnica, nei decori, ma soprattutto nella concezione d'uso, evolvendosi e trasformandosi nel tempo fino a raggiungere talvolta livelli raffinatissimi di esecuzione celeberrimi ormai in tutto il mondo e riconosciuti come opere d'arte. Ma come si presentavano i tappeti del neolitico? Quale struttura, quale tecnica, quali colori? Purtroppo a causa della loro natura degradabile, dei primi tappeti preistorici non ci rimane che qualche loro approssimativa descrizione sulle pitture murarie scoperte in area Mesopotamica e Anatolica come ad esempio quelle rinvenute negli scavi di Catal Huyuk e presso i reperti di Hacilar e Ur. Un’ancora di salvezza ci sopraggiunge da una tipologia di tappeto che possiamo definire "fossile vivente" e che nella sua perdurata sopravvivenza nei secoli si propone come un’utile chiave di lettura nell'analisi e nella rappresentazione ideale di quello che poteva essere un ipotetico tappeto protostorico, sono i Tulù e i Filikili. Questi tappeti caratterizzati da un vello lunghissimo realizzato con una particolare tecnica di nodo fioccato dissimili l’uno dall’altro solo per la tecnica di colorazione delle lane, nascono non per essere venduti sui mercati occidentali, ma per fornire un giaciglio sul quale dormire e al tempo stesso proteggere esotericamente coloro che vi dormono. Non esiste un modello tipo o una colorazione standard, come invece avviene nelle manifatture contemporanee industrializzate, esiste invece una primitiva sintesi iconografica e spesso un accostamento di colori sgargianti, utilizzati ed intesi com’era sin dal paleolitico come mezzo per scacciare le forze e gli spiriti maligni, il tutto nel rispetto della più antica e pagana tradizione anatolica e centroasiatica. L'ipotesi che la tecnica fioccata dei Tulù e dei Filikili rappresenti la tecnica di annodatura più antica venne supposta da May Houston nel 1920 e successivamente confortata presso gli scavi Ur, visionati e diretti da Leonard Woolley in Mesopotamia del sud, con la scoperta di reperti tessili datati intorno al 2600 a.C, tra la fine degli anni '20 e gli inizi degli anni '30. Esistono poi a conferma di questa felice intuizione una serie di manufatti invellati con tecnica Filikili (quindi a pelo lungo) riportati alla luce negli anni '30 a Palmira e Dura-Europos, le città siriane distrutte nel 256 d.C. Senza doversi aggrappare alle scarse e rare testimonianze di brani di tessuto sopravvissuti nel tempo, non è difficile -anche senza la conferma di indizi- cogliere in questi straordinari manufatti la testimonianza vivente di una tradizione che è radicata nella presitoria, e che è rimasta pressocchè identica da quasi cinquemila anni. Basta guardarli, e ce lo dicono l'istinto, il tatto, l'occhio; nella loro sobrietà esiste la più arcaica espressione del tappeto annodato, tanto nella forma quanto nel suo più profondo significato che è bivalente: quello cioè di essere realizzato come mezzo d'uso e al tempo stesso quello di rappresentare uno scudo protettivo dagli influssi negativi. I prezzi per i Tulù e i Filikili contemporanei sono nell'ordine di qualche migliaio di euro, e sono prezzi decisamente contenuti rispetto a quelli dei manufatti antichi che raggiungono cifre oltre i 20mila euro. Anche nel caso di esemplari relativamente giovani, la prospettiva di lungo termine, rappresenta per gli stessi una di quelle poche possibilità esistenti per gli acquirenti di acquistare un tappeto contemporaneo nell'ottica dell'investimento.

venerdì 12 marzo 2010

Il "cane corrente" nei tappeti - origine e significato


I significati "tradizionali", consci ed inconsci, affidati ai diversi soggetti artistici hanno, da sempre, costituito un limite alla realizzazione di una rigida distribuzione cronologica e geografica dei linguaggi iconici e decorativi utilizzati nei soggetti artistici. e' il caso del motivo perpetuo a "cane che corre" o "cane corrente" onnipresente in tutte le culture inodeuropee e non solo. Questo motivo a greca frequente nelle bordure dei tappeti turchi e caucasici, più raramente in quelli persiani è un motivo presente anche nell'architettura romano-ellenica, nella tradizione egiziano copta e nelle espressioni artistico-mitologico-religiose cinesi. Proprio dalla Cina si sostiene che esso derivi, più precisamente come trasformazione di un ulteriore simbolo fenomenico conosciuto come il "Collare di nubi".
Il "Collare di nubi" è una decorazione simbolica appunto cinese, costituita da un cerchio con quattro o più elementi a forma di freccia polilobata volto a rappresentare la porta del cielo, un punto di intermediazione tra il terreno e il divino, come lo sono appunto le nuvole attorno al sole.
Ma al di là di una generalistica interpretazione della trasmutazione del simbolo da collare di nubi a cane che corre, non esistono oggettivamente documentazioni realisticamente esaurienti a supportare questa teoria. E' convinzione dell'autore che l'origine di ambedue i simboli: collare di nubi e cane che corre, traggano invece origine non dalla cultura e dalla religione cinese (vedasi buddismo) ma bensì da una cultura e da una religione precedente ed universale, quella paleolitica e neolitica.

Il rapporto fra l'uomo e il tappeto comincia dal Neolitico (6.000-3000 a.C.). L'artigianato tessile ha avuto come primo scopo la creazione di opere utili, alle quali ben presto gli uomini aggiunsero dei significati simbolici o celebrativi. Gli uomini del Neolitico nella descrizione degli eventi non raffiguravano fedelmente le forme naturali, ma utilizzavano spesso l'astrazione e l'iconismo. I loro segni erano molto stilizzati e convenzionali, al punto che sono stati sempre considerati come dei semplici 'motivi geometrici' o decorazioni senza mai sospettare il vero rapporto intercorrente tra disegno e simbolo. Interconnessione che invece diventa lampante nella più tarda trasformazione dello stesso attraverso il geroglifico: sistema di scrittura utilizzato dagli antichi Egizi, che combina elementi ideografici, sillabici e alfabetici. Fu proprio con la crescita e lo sviluppo della civiltà egizia che il comune bagaglio culturale originario delle popolazioni neolitiche iniziò un percorso di diversificazione culturale, in alcuni casi: greci, egizi e romani, più o meno conosciuto in altri perso nei meandri del tempo. La dea Madre, divinità comune in tutte le civiltà paleolitiche presumibilmente sorta durante una fase matriarcale, assunse nella civiltà dell'antico Egitto la forma di ISIDE, mentre in quella ellenica e romana assunse personificazioni distinte con ruoli distinti: Afrodite e Venere dee dell'amore, Demetra, Cerere e Persefone dee dei campi e del raccolto, Artemide e Diana dee della caccia. Alla base di tutte le culture e delle religioni vi è dunque il sincretismo con questa religione ancestrale ed universale, originata in terre mesopotamiche e poi sviluppatasi e diffusasi in tutto il continente afro-ed euroasiatico.

La Dea Madre - rappresentata spesso nelle culture più antiche con sembianze di Dea Uccello - era nata grazie all'osservazione e alla venerazione delle leggi della natura; era la fonte e la dispensatrice dell'umidità che dà la vita e, come un uccello acquatico, essa congiungeva il cielo e la terra. Il motivo del cane che corre che viene altresì riconosciuto anche e proprio come un'onda o più semplicemente come un S susseguentesi, rafforza l'ipotesi di una derivazione simbolica riconducibile a questo antichissimo culto anzichè più semplicemente al collare di nubi. Chi studia e conosce il simbolismo archetipo ha ben presente che la S non solo nel bagaglio iconico armeno rappresenta Dio, ma rappresenta anche il drago come custode dell'acqua e simboleggia il bene e la saggezza. Sempre connesso all'acqua vi è il drago cinese, incarnazione del concetto di yang nonchè portatore di pioggia e acqua in generale che i cinesi pregavano nei momenti di siccità considerandolo il loro padre. Il drago è pertanto una simbologia antichissima che discende dalle mitologie mesopotamiche e caucasiche originato dal bagaglio culturale della dea Madre nella sua versione marina e che attraverso il mercato della metallurgia intrappreso dagli armeni in estremo oriente si è probabilmente diversificato nella versione dello Chevron cinese.
C'è poi il motivo comunemente chiamato a zig-zag, molto simile al simbolo del cane che corre -probabilmente una sua forma iconica precedente- e che è il più antico motivo simbolico documentato. anch'esso rappresenta l'acqua corrente o i campi irrigati. Nel VI millennio a.C. la M singola, doppia o tripla si trova frequentemente anche nella decorazione centrale dei vasi greci e pre-greci. Il significato acquatico del segno M sembra essere sopravvissuto nel geroglifico egiziano mu, che significa acqua, e nella lettera greca mi.
Anche il motivo a meandro continuo, presente nelle cornici dei tappeti cinesi è un simbolo dell'acqua. Esso lo si può trovare, associato ai segni a M, a V o a chevron su statuette ornitomorfe femminili e su statuette antropomorfe della Dea Uccello.

Dopo quanto si è detto, riesce difficile all'autore attribuire al motivo del cane che corre un'origine cinese dal collare di nubi. L'universalità di questo simbolo qui documentata e comprovabile su qualsiasi testo specialistico di arti iconiche, dimostra infatti l'insussistenza della tesi che attribuisce l'origine di esso (come per tanti altri segni) a un influenza buddista e cinese ipoteticamente giunta esclusivamente attraverso le invasioni mongole, prima fra tutte quella dei Selgiuchidi di origine Oghuz.

E' chiaro infatti che di fronte a queste informazioni il simbolo del cane che corre diviene un simbolo archetipo, primigenio, primordiale, legato originariamente al potere della dea Madre e successivamente al drago custode dell'acqua e simbolo di deità che poi a seconda della complessità delle civiltà ha preso vie diversificate per significato e forma.

Va ricordato inoltre che la civiltà ellenistica e quindi anche l'Anatolia erano già figlie della medesima religione primigenia della Dea Madre, (non a caso Anatolia significa “terra della madre”), cultura che già 1400 anni prima delle invasioni Selgiudichi, si era rinbagnata alla fonte grazie all'opera di Alessandro Magno, (quarto sec. a.C) quando con un'inarrestabile serie di conquiste materiali, aveva raggiunto le sponde dell'Indo. Lì l'incontro delle due culture, (quella greco-ellenistica e quella neonata buddista), diede origine a una sintesi artistico-religiosa destinata a diffondersi fino all'Estremo Oriente e in tutto l'Occidente che si riprodusse in una reinterpretazione di simboli stili e forme.


giovedì 11 marzo 2010

I tappeti afghani - Informativa per le truppe italiane di stanza in Afghanistan

In questi ultimi anni mi è capitato tre o quattro volte di svolgere la funzione di "Buying adviser" (consulente per gli acquisti) per alcuni dei nostri militari (ufficiali, sottoufficiali e soldati) di stanza in Afghanistan, che erano rimasti piacevolmente colpiti da qualche tappeto che avevano visto e volevano comperare. Devo dire che il più delle volte si è sempre trattato di tappeti ordinari, spesso neppure afghani, in alcuni casi proposti a prezzi congrui in altri un po' meno, sta di fatto che la pratica dell'acquisto del souvenir annodato è frequente e ben avviata nell'ambito delle nostre truppe in Afghanistan.
Navigando su internet ho trovato un articolo interessante: clicca qui che parla appunto di questo fenomeno, e dove viene mostrata l'immagine di un negozio di tappeti allestito all’interno del mercatino che puntualmente si svolge ogni venerdì santo nel quartier generale delle forze armate in Afghanistan, “HQ ISAF” a Kabul.  Dalla fotografia ne esce una realtà globalizzata che di afghano ha ormai ben poco, e dove è evidente che la "paccottiglia" abbonda.
Voglio pertanto sfruttare queste pagine (alcune volte lette dai nostri connazionali di stanza in quella regione) per avvertirli che, tappeti del genere sopra riprodotto (quelli esposti nella foto) non hanno nessun valore storico, economico o antologico, e sono solo prodotti di bassa qualità provenienti dal vicino Pakistan e non afghani. Riconoscerli dalle originali produzioni afghane è facile, perchè anzichè essere rossi e scuri, e confezionati in lana cruda, sono invece prettamente chiari, o addirittura blu, spesso con le frange in cotone. Sono tappeti che si possono acquistare ovunque e ad un prezzo assolutamente più basso di quanto lo propongano i furbi mercanti di Kabul. A chi è di stanza in Afghanistan dico quindi di fare molta attenzione, perchè l'affare rischia di farlo solo il mercante di tappeti del posto, non certo il militare italiano.

mercoledì 10 marzo 2010

I tappeti del museo Bardini a Firenze - opinioni

Dopo qualche mese dalla sua riapertura al pubblico, la scorsa settimana ho avuto finalmente modo di visitare insieme a mia moglie e ad un amico di Infotappeti, il museo fiorentino del Bardini (noto collezionista antiquario) che vanta insieme al Bargello -ne parlerò in altro post- una delle più importanti collezioni di tappeti orientali antichi datati tra il XVI e i XVIII secolo.
Senza togliere nulla alle 3600 opere esposte, tra pitture, sculture, armature, strumenti musicali, ceramiche, monete, medaglie e mobili antichi, (eccezionale il crocifisso ligneo medioevale e la collezione di cassoni nuziali), devo dire che la collezione di annodati più pubblicata in tutti i libri di tappeti, vista dal vivo ha un qualcosa di vigoroso, di esaltante che lascia senza parole. Il museo ha voluto riallestire i tappeti nella maniera con la quale li aveva allestiti il Bardini stesso, ossia -frammento mammelucco e tappeti di cuoio nordafricani a parte- lungo le pareti dell'imponente scalone del palazzo. L'effetto scenico e il ripercorso storico sono senz'altro di grande effetto, ma rendono la collezione di non facile fruibilità, il collo alla fine si stanca nella prolungata osservazione a naso in su degli esemplari e le scale non consentono di camminare scioltamente mentre li si osserva, pena il rischio di cadere giù dalle scale. La piantina che numera e identifica gli esemplari è poi ridotta all'osso con la sola datazione delle opere e la loro identificazione geografica. Nel frattempo ho avuto un esempio di come si muovono le guide nell'ambito degli annodati esposti nei musei italiani, una guida che stava illustrando ad un gruppo le opere esposte e che aveva dettagliatamente già illustrato dipinti, sculture ma anche mobilia, oggettistica e arredi conservati nel museo, una volta giunta di fronte allo scalone ove erano esposti i tappeti si è limitata a dire al gruppo più o meno queste parole "il museo Bardini conserva anche una  importante collezione di tappeti antichi cinque e seicenteschi. In fondo alla scalinata potete ammirare il tappeto detto "di Hitler" perché quando Hitler venne a Firenze nel '38  fu steso nella stazione di S.M. Novella, si dice che il dittatore, passandovi sopra, gli provocò un taglio con gli speroni degli stivali", fine dell'illustrazione dei tappeti Bardini!
E' purtroppo il risultato, la dimostrazione di una scarsa attenzione che il mondo della cultura italiana ha sempre dimostrato per il tappeto, che è considerato purtroppo il “nulla” perchè “figlio di un Dio minore”, o forse neanche quello. Non ci resta che proseguire la nostra missione di evangelizzazione attraverso Internet, lo strumento più nazionalpopolare e libero che il progresso ci abbia messo a disposizione per poter aiutare nel nostro piccolo quest'arte per farle ottenere il riconoscimento culturale che degnamente li spetta.
A seguire un reportage della collezione ivi esposta. Visitate il museo Bardini, perchè vale la pena.

Immagine tratta da: http://www.museicivicifiorentini.it/bardini

martedì 9 marzo 2010

I primi tappeti del Turkestan orientale e quelli della Cina erano tappeti "turchi"

Turkestan letteralmente significa «Terra dei Turchi», ed è una regione dell'Asia centrale, generalmente abitata da popoli turchi. Turchi Oghuz (noti anche come Turkmeni), Uzbeki, Kazaki, Cazari, Kirghisi e Uiguri sono solo alcuni dei ceppi turchi della regione. Questa grande terra turcomanna si suddivide in Turkestan occidentale e Regione Autonoma dello Xinjiang Uyghur (nota anche come Turkestan orientale o "Uyghuristan"), in Cina. Tappa obbligata lungo la via della seta che per duemila anni ha visto scorrere con le carovane di cammelli il commercio fra Oriente e Occidente il Turkestan Orientale ha vissuto vicende storiche piuttosto complesse, ma se l'influenza cinese iniziò a farsi sentire già prima dell'età cristiana favorendo persino l'introduzione del buddismo, il pattern iconografico della realtà tessile del Turkestan orientale è sempre stato originario degli sciti e solo successivamente è stato condizionato dall'influsso delle culture con cui le popolazioni dell'area venivano a contatto attraverso le invasioni e i viaggi delle carovane. Svariati reperti rinvenuti in tempi recenti grazie alle numerose campagne archeologiche hanno dimostrato come i tappeti del Turkestan orientale avessero una chiara connotazione iconografica propria e non di importazione o di influenza cinese. Le pitture della dinastia cinese Sung confermano questa tesi, con le precise raffigurazioni di tappeti geometrici di chiaro stile turcomanno e turco ma dai colori molto tenui  e forse è proprio questa variante, il vero ed insospettato anello di congiunzione storico che lega gli annodati turcomanni a quelli relativamente più giovani della Cina centro-orientale. Le scarse informazioni sui tappeti cinesi e i limitati reperti, non riescono infatti a delineare una soddisfacente e chiara evoluzione dello sviluppo del tappeto in Cina, ed è lecito pensare che furono proprio i popoli barbari del Turkestan orientale e i mongoli di Gengis Khan a far conoscere ai cinesi l'arte del tappeto. Quando Padre Gerbillon missionario gesuita raccontò di un loro viaggio fatto nel 1683 in Cina, vennero per la prima volta forniti dati precisi sulla produzione dei tappeti a Ning-hsia. I tappeti mostratigli dall'imperatore K'ang-hsi li aveva infatti definiti "Come i nostri tappeti turchi". Anche se nei documenti il gesuita non ha descritto i motivi dei tappeti visti alla corte dell'imperatore, è plausbile pensare che quel "come i nostri tappeti turchi" volesse significare non solo il metodo di realizzazione, ma anche colori e decori.

lunedì 8 marzo 2010

Metodi di realizzazione di un modello iconografico di un tappeto.

Esistono svariate tecniche per la realizzazione di esecuzione di un modello iconografico di un tappeto. Alcune sono ormai sorpassate soppiantate da metodi che favoriscono una realizzazione perfetta nella simmentria dei decori, oggi requisito importantisismo per non determinare in un manufatto contemporaneo l'ingrato aggettivo di "difettato" o pezzo di seconda e terza scelta.

Il modello del tappeto può essere:
  • spontaneo
  • memorizzato
  • preparato su cartone
  • disegnato sull'ordito
  • dettato ad alta voce
  • annodato su campione.
Il modello spontaneo
Il modello spontaneo è quello ormai scomparso, forse oggi ancora esistente presso certe tribù seminomadi che annodano tappeti solamente per il loro uso privato. L'annodatore realizza in maniera spontanea, decide quale lana colorata utilizzare e quindi quale decoro seguire man mano che procede nella confezione. In taluni esemplari antichi e vecchi, di chiara realizzazione spontanea (turchi, marocchini, indiani) si riconosce questo sitema, proprio per i piccoli disegni che si presentano sul modello in modi irregolari, per le sproporzioni di ornamento e per una totale mancanza di simmetria nell'insieme. Malgrado tutto questo noi sappiamo che il fascino di questi manufatti ormai irripetibili è tale da renderli estremamente interessanti e, sempre, rarissimi. Quale pezzo è più "unico" di quello che risponde a un determinato momento spirituale e ambientale, irripetibile e di estro di un annodatore?

Il modello imparato a memoria
Il modello imparato a memoria era il più diffuso presso le tribù nomadi, e presso i berberi dell'Alto Atlante. Questo metodo di realizzazione consiste nel ripetere a memoria l'impianto tipico del proprio clan e quindi tramandato di generazione in generazione, decori specifici dunque, resi abituali della lunga consuetudine. Può essere definito ancora un modello "spontaneo" ma a differenza dell'originale, presenta già la banalizzazione della riproduzione ripetuta.

Il modello su cartone o carta millimetrata
Il modello su cartone è quello oggi usato maggiormente. Nato dalla tradizione classica safavide e poi utilizzato anche dalla produzione europea, reso celebre dai nomi di pittori e miniaturisti che vi collaborarono dipingendoli e spesso firmandoli è il motore di quel fenomeno conosciuto come produzione standarizzata. Viene preparato un modello su carta millimetrata o finemente quadrettata in maniera che ad ogni quadretto vada corrispondere a un nodo che l'artigiano poi è demandato a ricopiare fedelmente e passivamente sul telaio. Con questo metodo, il manufatto non è più quindi espressione artistica, tradizionale o spirituale del singolo o di un clan, ma oggetto perfetto e ripetibile in tutte le sue simmetrie, i cui decori rappresentano quella fredda rsiposta di mercato generato dal consumismo di massa.

Il disegno sull'ordito
Il modello disegnato sull'ordito è il più semplice da seguire ed anch'esso rappresenta un metodo di realizzazione standarizzato del manufatto. Il modello viene tracciato direttamente sulle catene dell'ordito, lasciando così all'annodatore la sola incombenza di scegliere il colore giusto e realizzarevi il nodo.

Il talim
Questo metodo di realizzazione -oggi spesso abbinato al disegno sull'ordito- fu ideato ad Amritsar (in India). Invece della rappresentazione grafica, il modello viene descritto nodo dopo nodo da un lettore incaricato di leggerlo ad alta voce. File di annodatori ciscuno di fronte a un identico telaio si ritrovano così a realizzare più copie del medesimo tappeto. La litania è impressionante "uno giallo, due bianchi, uno nero, uno rosso, due giallo, uno scaralatto..."

Il Waghireh
I vaghireh vengono ancora utilizzati per lo più in piccoli centri dell'Anatolia e dell'Iran: i più antichi sono molto ambiti dai collezionisti. Consiste in un piccolo pezzo di tessuto annodato che raccoglie nel suo insieme la sintesi della campionatura dei decori da riprodurre nel tappeto. Di solito l'annodatura dei Waghireh oltre ad essere fittissima per contenere molti modellini in un unico pezzo di tessuto, rappresenta una testimonianza di simboli e motivi tipici di un determinato luogo, costituendo così un complemento prezioso per qualsiasi collezione di tappeti.

martedì 2 marzo 2010

Lettera aperta di Infotappeti ai politici

Riporto il testo di una lettera aperta ai politici pubblicata su Infotappeti a nome della comunità.
A tutti i politici italiani

Il 20 febbraio 2010 tutte le agenzie di stampa hanno battuto una dichiarazione del leader dell’Idv, avvenuta a margine di un iniziativa a sostegno della candidatura di Emma Bonino alla presidenza della regione Lazio. In questa dichiarazione probabilmente non consapevole di offendere tutta una categoria di persone (e per un politico "democratico" questo è un peccato mortale), Antonio Di Pietro ha aggettivato il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi "venditore di tappeti" in un chiaro uso negativo del termine.

PREMESSO CHE
i politici italiani non sono purtroppo nuovi all'uso infelice ed improprio di questo termine come analogia alla pratica di mestierante della truffa (vedasi precedenti di: Prodi, Cesa, ecc ecc).

ESSENDO INVECE CHIARO CHE:
chi vende tappeti tratta un prodotto culturale di valore storico, artistico, economico, molte volte anche collezionistico e persino sacro (e non solo all'Islam!)

LA COMUNITA' DI INFOTAPPETI:
composta e creata ogni giorno da persone (mercanti di tappeti, appasionati, collezionisti e neofiti) che vogliono far sentire la loro opinione, nella piena consapevolezza che questa voce nel mare magnum delle opinioni critiche e non critiche della situazione tematica, ma anche di quelle immediatamente correlate: questione economica, sociale nonchè culturale, non è poi tanto goccia considerato che il forum può vantare migliaia di pagine visitate ogni mese.

ESPRIME A NOME DELLA MAGGIORANZA DEGLI ISCRITTI:
il proprio vivo rammarico per il reiterato e negativo uso che la politica e i politici fanno del termine "venditore di tappeti", lavoro invece onesto e culturale fatto di uomini e donne non solo italiani, che meritano rispetto come qualsiasi altra categoria di lavoratori.

E CHIEDE:
che questa analogia odiosa non venga più utilizzata, nel rispetto pieno delle persone, dei lavoratori del settore, e del tappeto stesso inteso come prodotto artigianale e culturale orientale ed arabo e persino europeo.

Nella speranza che l'istanza venga dai politici italiani, accolta e compresa, la comunità di Infotappeti ringrazia.

INFOTAPPETI.