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lunedì 31 marzo 2008

Frammenti di tappeti

Pazyrik a parte, i primi frammenti di tappeti annodati sopravvisssuti alla storia e a noi pervenutici risalgono al 500 e 600 d.C. e sono stati ritrovati nel Turkestan da Sir Aurel Stein e da A. Von Le Coq. Questi ritrovamenti corrisponderebbero a quanto tramanda Senofonte che cita i tappeti di Sardi (capitale della Lidia - Impero Sassanide) come famosi in tutta l'Asia Minore per la finezza della loro annodatura. Molto interessanti (sempre nel Turkestan) sono gli antichissimi affreschi di Turfan, dove assistiamo alle più antiche immagini di tappeti probabilmente di feltro, intesi come rappresentazione della potenza religioso-spirituale, alla glorificazione del Buddha. Sui rilievi di Al Tar invece, non lontano dalla città irachena di Karbala, in grotte destinate all'inumazione dei defunti, furono rinvenuti brandelli di tappeti con doppio vello, databili tra il 250 ed il 650 d.C. .Furono probabilmente tessuti in area persiana, e probabilmente utilizzati per la sellatura dei cavalli, come sembra confermare la tecnica della doppia annodatura, quanto mai adatta nella riduzione dell'attrito.


A. Von Le Coq in una sua spedizione nel Turkestan.

Tappeti menzionati nei Vangeli

I tappeti menzionati nei vangeli
Un'importante testimonianza dell'esistenza dei tappeti sin dall'antichità ce la forniscono i Vangeli, dove l'uso dei tappeti orientali viene ampiamente descritto nelle ricorrenti citazioni. I vangeli comprovati dalle cronache e dai testi romani si sono rivelati spesso una fonte di informazione preziosa. A tal riguardo e a esempio per le numerose citazioni ricordo la "Preparazione dell'ultima cena" Marco 14 . Essa dice: 12Il primo giorno degli Azzimi, quando si immolava la Pasqua, i suoi discepoli gli dissero: «Dove vuoi che andiamo a preparare perché tu possa mangiare la Pasqua?». 13Allora mandò due dei suoi discepoli dicendo loro: «Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d'acqua; seguitelo 14e là dove entrerà dite al padrone di casa: Il Maestro dice: Dov'è la mia stanza, perché io vi possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli? 15Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala con i tappeti, gia pronta; là preparate per noi». 16I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono per la Pasqua. Altro passo evangelico di seppur indiretta menzione ai tappeti è quello dedicato all'ingresso di Gesù a Gerusalemme dove i suoi discepoli, non disponendo di tappeti, si scrive che stendono davanti a lui i loro mantelli e salutano il suo ingresso con l'acclamazione "Ecco arriva il Re dei Giudei".


domenica 30 marzo 2008

I 5 tumuli misteriosi

Nel 1949 una spedizione archeologica russa scoprì 5 tumuli misteriosi di cavalieri, in uno dei quali era miracolosamente conservato e sopravvissuto nel permafrost un tappeto annodato di finissima fattura. La scoperta fu resa pubblica nel 1952 in un libro pubblicato a Leningrado a firma di S. I. Rudenko dal titolo: "Gli scavi nel Ghornii-Altai e gli Sciti. Il Pazyryk -così è stato chiamato questo prezziosissimo reperto- costituisce la più antica testimonianza esistente di tappeto annodato e segna un punto fisso nella storia del confezionamento dei tappeti annodati. Grazie ad esso e alla datazione al carbonio, sappiamo con certezza che il tappeto era già annodato nel V° secolo a.C
Ma questo tappeto se da una parte contribuì a svelare un mistero, ne porto immediatamente alla luce un altro: gli sciti non disponevano di tecniche così evolute nel confezionamento di tappeti annodati ed erano troppo distanti dai persiani per poter gongetturare un qualche contributo dell'evoluta civiltà sopracitata. Chi lo confezionò dunque? Quali mani? Quali saperi furono in grado in così remota epoca di produrre simile opera d'arte?

Il Pazyryk

Nel 1949 uno scavo archeologico diretto dagli studiosi russi Grinzanov e Rudenko, sui monti Altaj, nella Mongolia nordoccidentale, portò alla luce il più antico tappeto del mondo, conosciuto col nome di Pazyryk, ovvero la denominazione della regione in cui fu rinvenuto. Per quasi 2000 anni era stato conservato dal ghiaccio di una tomba tumulo di un nobile scita e con ogni probabilità costituiva il corredo funebre insieme a un carro smontato, ai resti di un cavallo e ad altri vari manufatti appartenuti al defunto. La scoperta fu eccezionale e costituì una conferma tangibile di quanto si conosceva da fonti storiche come gli scritti di Erodoto e di Senofonte, e letterarie come i poemi omerici. La letteratura Greca e Romana, testimonia infatti che presso alcuni popoli antichi dell'Asia l'arte della tessitura era così evoluta da permettere il confezionamento di raffinati tessuti, forse proprio di tappeti utilizzati in genere come stuoie. Realizzato intorno al V° secolo a.C, così come confermano le prove con il carbonio radioattivo, il Pazyryk oggi conservato al museo russo dell'Hermitage a San Pietroburgo continua a stupire gli studiosi per l'accuratezza esecutiva e per i suoi decori. presenta infatti una fitta annodatura di 3600 nodi simmetrici per decimetro quadrato con disegni complessi, valorizzati da una straordinaria policromia, con prevalenza del rosso, del verde pallido e dell'avorio e di un delicatissimo arancio. La forma è quasi quadrata 200 x 183, al centro del campo propone un susseguirsi di 24 formelle con foglie lanceolate disposte a croce e piccoli boccioli. Tutt'intorno corrono cinque cornici, di cui la principale esterna riproduce una processione di guerrieri a cavallo o al fianco del proprio destriero. Tutte le altre bordure riprendono i motivi del campo con decori ispirati alla stilizzazione di animali tra essi: cervi e grifoni che presso gli Sciiti erano legati al culto dei morti.

I misteri del Pazyryk

Il Pazyryk pose immediatamente degli interrogativi: Quale significato simbolico avevano i disegni? Chi (quale popolo) in quella remota regione e in quel lontano periodo era riuscito ad eseguire un così raffinato manufatto? Considerando sia alcune pagine delle Storie di Erodoto, dove l'autore greco descrive con minuzia di particolari la liturgia funebre degli Sciti, che celebravano la morte di un nobile guerriero con una serie di riti complessi, sia il luogo del ritrovamento (un tumulo), il primo quesito poteva venire risolto con facilità: il Pazyryk era una rappresentazione iconografica del rito funebre di un grande signore scita. Dopo aver imbalsamato infatti la salma, la si faceva sfilare per 40 giorni nel suo territorio e quindi la si inumava insieme al carro al cavallo e ai corpi della moglie e della sua concubina. Ma il solene rituale non si concludeva quì poichè un anno dopo venivano sacrificati 50 cavalieri appartenuti al seguito del defunto e le loro salme erano poste all'ingresso della sepoltura per vegliare sul riposo del loro capo. Tutti gli oggetti rinvenuti nella tomba del Pazyryk sembravano confermare il racconto dello storico greco e gli stessi decori della cornice coi suoi solenni soldati a cavallo, quasi descrivono il medesimo momento del sacrificio dei cavalieri.
Il secondo interrogotivo resta ancora in parte irrisolto. Gli studiosi sono concordi nell'affermare che un capolavoro di simil perizia non possa essere attribuito solo all'estro degli Sciti, ma abbia richiesto l'apporto di tecniche sviluppate di altre culture. Rudenko riteneva che il Pazyryk fosse stato eseguito da tessitori persiani del periodo achemenide, ma la tesi non convince alcuni studiosi, i quali sostengono che il tappeto fu eseguito avvalendosi del contributo dell'evoluta civilità degli Urartei fiorita in Armenia. Presso tale popolo, infatti la tessitura era quanto mai evoluta, come confermano sia gli scritti dello storico greco Strabone, sia il rinvenimento di telai e frammenti di manufatti. Inoltre proprio nel regno di Urartu si usava estrarre il colore porpora della cocciniglia, tinta che compare con abbondanza nel reperto di Pazyryk.
Articolo liberamente adattato da "TAPPETI" DeAGOSTINI



Un particolare del Pazyryk

sabato 29 marzo 2008

Citazioni greche e romane: i tappeti di Pergamo

Oggi ricomincia il piccolo viaggio a ritroso nel tempo, alla ricerca di reperti, citazioni e testi in grado di delineare un'epoca esatta in cui collocare l'uso dei tappeti annodati sin dall'antichità.

I tappeti di Pergamo
Ritornando al IV secolo a.C. la storia del tappeto viene lentamente arricchendosi di precisazioni più esatte. Il tappeto viene citato più volte da autori classici greci (Senofonte nella Ciropedia) che si riferiscono soprattutto a quelli prodotti in Babilonia ed usati presso la corte Achemenide. Uno di questi tappeti fu ritrovato da Alessandro Magno nella tomba di Ciro a Pasagarde, nell'anno 330 a.C.
A Pergamo città fastosa degli attalidi, si tessevano richissimi tappeti, intessuti di fili di metallo d'oro; e di essi testimonia lo storico romano Plinio, il quale li cita come "attalica"nel capitolo VIII delle sue storie.

Liberamente adattato da "I Tappeti" di M.L Varvelli

Informazioni generali su Pergamo
Nel VIII sec. a.C. a Pergamo si insediarono popolazioni anatoliche, ma fama, ricchezza e splendore vennero grazie a Lisimaco, luogotenente di Alessandro che investì buona parte dei bottini, conquistati nel corso delle vittoriose campagne militari accanto al Macedone, proprio in questa città. Filétero, eunuco e suo uomo di fiducia, colto e illuminato, fondò, grazie sempre al tesoro di Alessandro, un regno vero e proprio. Eumene II, figlio adottivo di Filétero, prese in seguito le redini dell'amministrazione della cosa pubblica. Attalo salì al trono dopo Eumene, prese il titolo di re e diventò uno dei più fedeli alleati di Roma, il che procurò privilegi e benefici alla città. In quei tempi Pergamo venne ulteriormente arricchita di monumenti egregi, letteratura e scienza trovarono mecenati generosi e la raffinatezza dei costumi prese a gareggiare con quella della Città Eterna (Roma). Ogni cronista dell'antichità che ebbe occasione di visitarla rimase rapito dal suo fascino. Il numero dei manoscritti conservati nella sua biblioteca arrivò a 200.000. Si trattava di papiri provenienti dall'Egitto vergati dagli amanuensi di Pergamo e debitamente riposti ben arrotolati. Nel 133 a.C., Attalo III, morendo senza eredi, lasciò il regno in eredità al popolo romano: la Lidia, la Caria, la Pamfilia, la Psidia, la Frigia divennero così la Provincia d'Asia di Roma.
Pergamo divenne capitale della provincia romana d’Asia, e continuò a fiorire per due secoli. Fu una delle prime sedi cristiane, e una delle sette chiese d’Asia. Il suo nome attuale è Berghama, ma la vecchia città conobbe un profondo oblio, nel corso del periodo bizantino e ottomano, tanto che il suo sito archeologico è tornato alla luce solo alla fine dell’Ottocento, grazie a degli scavi che una compagnia tedesca stava facendo in Turchia per costruire una linea ferroviaria. Nell’occasione fu notevole il rinvenimento di materiali archeologici che, grazie agli accordi diplomatici dell’epoca tra turchi e tedeschi, sono oggi conservati nel museo di Berlino.



Ricostruzione ipotetica della città

venerdì 28 marzo 2008

Lettera aperta all'onorevole Cesa

Caro onorevole Cesa, spesso chi vende tappeti è ben più sensibile di voi politici

Ancora una volta la competizione elettorale porta un politico ad usare il termine "venditore di tappeti" in maniera impropria e offensiva.
Il primo che aveva coniato questo parallelo politico per insultare l'avversario fu qualche anno fa l'onorevole e professor Prodi, che ebbe l'ardire di definire Berlusconi "come un venditore di tappeti", oggi è l'onorevole Cesa del partito di Casini, a insultare ancora una volta questa categoria. Nel ricordare a Cesa esattamente quello che ricordai tempo addietro con una lettera aperta al professore, ribadisco che l'italia l'hanno rovinata i politici e non i venditori di tappeti, e anzi, spesso questi ultimi hanno senz'altro un ruolo più positivo verso l'arte ed il mondo nella nostra società di quanto ce l'abbiano loro, i politici! Del resto questo blog credo ne sia una dimostrazione emblematica!

Lettera aperta a Cesa:

Caro onorevole Cesa, sono stato ancora una volta colpito, questa volta dalle sue affermazioni: " I due grandi partiti contenitore si muovono secondo una logica da venditori di tappeti" così lei ha detto, quasi che vendere tappeti fosse una discriminante o peggio un'aggettivazione razzista. Premesso che in questo modo non sono stati offesi solo i "venditori di tappeti", ma anche lo sterminato mondo dei televenditori, perchè ormai chi vende per televisione, per asta o per telepromozione non è solo chi vende tappeti. Forse Mike Buongiorno quando telepromuove i materassi è diverso dal principe Bijan che vende tappeti? Pensavo che fosse passato di moda questo infelice parallelismo; vederlo riutilizzare ancora una volta da un politico questa volta che fa riferimento addirittura ai valori cristiani mi lascia l'amaro in bocca. Annodare tappeti è un'arte signor Cesa, arte di popolo, perchè là in Iran e in Turchia, come in Cina quanto in Armenia e il popolo che li confeziona, lo fanno da secoli, e li tessono tutti, dalle donne di città, ai maestri di atelier, dai pastori delle steppe, ai nomadi del Fars. Un tappeto è una manifestazione d'arte, è un oggetto d'investimento, è una testimonianza culturale, non è una patacca! Chi li vende poi è un appassionato signor Cesa, un amante di quest'arte, perchè per venderli bisogna conoscerli e per conoscerli bisogna studiarli, viverli, e la sua battuta di pessimo gusto peraltro ripresa da un già triste exploit di un suo avversario (Prodi) indicano in lei come in altri politici scarsa conoscenza, scarso rispetto e scarso buongusto. Perche ricordo a lei e a tutti quelli che volessero sfortunatamente e prossimamente seguirla in questi tristi parallelismi che i venditori di tappeti pagano le tasse e quindi anche il suo stipendio e quello dei suoi colleghi.

Alberto. D.

Il tappeto tibetano contemporaneo

Concludo la breve parentesi dedicata all'arte del tappeto tibetana con un accenno alla produzione contemporanea:
La maggior parte della produzione contemporanea tibetana viene prodotta in India, Nepal o Pakistan e si è spostata da prodotti della tradizione a prodotti per il mercato. Lo sradicamento da una parte e l'estinzione dall'altra dei popoli tibetani si è prestato alla domanda innovativa del mercato che tenta di immettere anche nel mondo del tappeto il concetto di "brand" o "marchio", laddove i tappeti si sono sempre identificati per la loro provenienza geografica o per l'origine dell'annodatore. Ottimi materiali, grande ricerca nei disegni, molta enfasi sull'esclusiva, canali distributivi selezionati, questi sono i punti cardine di questa nuova generazione di tappeti decorativi.
Da ricordare la linea Tufenkian, ecco l'indirizzo web del sito: http://www.tufenkiancarpets.com/.
Infine, riporto integralmente un articolo di http://www.fashion.it/ dove viene spiegata perfettamente la situazione del tappeto tibetano contemporaneo.

A CACCIA DI TAPPETI E THANKA NELLA CITTÀ DEL DALAI LAMA

Dharamsala non rappresenta solo il Dalai Lama e il suo governo in esilio, ma è anche il luogo dove viene conservata l´antica tradizione e l´iconoclasia tibetana. Da queste montagne dense di conifere e rododendri, gli esuli tibetani cercano di tenere vivo l´artigianato artistico che in Tibet - sempre più colonizzato dai cinesi - non esiste quasi più. Non è un compito facile. La prima generazioni di rifugiati, giunta qui nel 1959, sta lentamente scomparendo e i giovani sono poco propensi a tramandare la professione dei loro padri. "Abbiamo un solo maestro per disegnare i tappeti - ci dicono al Tibetan Handicraft Cooperation Society, nella via centrale del villaggio di McLeod Ganj, a pochi passi dal monastero del Dalai Lama - ma ormai ha 80 anni. Dipendiamo solo da lui. Le scuole artigianali ci sono, ma è difficile trovare degli studenti abili". Nel laboratorio annesso al negozio, alcune donne sono al lavoro a dei telai verticali. La caratteristica principale dei tappeti tibetani è la particolare annodatura. I nodi "tibetani", di derivazione persiana, hanno una densità molto elevata e fanno sì che il tappeto sia molto consistente e robusto. Anche i motivi sono originali: si trovano dei medaglioni, ma anche fior di loto, dragoni e leoni della neve (che sono simbolo del Tibet). Purtroppo oggi non si usano più tinture vegetali. "Costa troppo e nessuno li sa usare" ci dicono. La globalizzazione è arrivata anche qui. La lana proviene, già tinta, dalla Nuova Zelanda.È rimasta ancora invece intatta - come secoli fa - la produzione dei Thanka, i dipinti religiosi su canvas che sono utilizzati per la meditazione. La scuola di pittura di Thanka, sia in India che in Nepal, è ancora molto viva grazie al lavoro certosino dei monaci buddisti. I colori usati sono estratti dalle pietre e mischiati con particolari paste. I Thanka più preziosi sono quelli in oro che sono anche quelli più elaborati.Altri prodotti tipici dell´artigianato locale, diventati oggetti "culto" in Occidente, sono i tipici berretti di lana con la scritta "Free Tibet" venduti per 50 rupie (un euro) sulle bancarelle insieme a una varietà di maglioni, sciarpe e calzettoni in maglia di lana grossa coloratissimi. Sono lavorati ai ferri dalle vecchie tibetane, nel loro costume tradizionale con il grembiule a strisce orizzontali, sedute ai bordi della strada. È uno dei pochi "souvenir" sopravissuto all´invasione di chincaglieria proveniente dal Kashmir e da altre parti dell´India .



Un tappeto "tibetano" Donegal II della linea Tufenkian

giovedì 27 marzo 2008

Struttura, tecnica e materiale del tappeto Tibetano

Come ha commentato l'amico antonio, "il tappeto tibetano, praticamente sconosciuto in occidente sino alla fine degli anni cinquanta, è annodato con modalità esecutive che trovano scarso riscontro in altre realtà produttive. La tecnica chiamata a "cappi recisi", in altri casi conosciuta solo attraverso studi archeologici legati all’Asia occidentale ed all’Egitto, viene realizzata con l’aiuto di canne, o assicelle, su cui è avvolto il filo che poi sarà tagliato dando origine al vello."
Il nodo tibetano, di derivazione persiana, non è in genere molto fitto ma assai resistente.
Il filo di lana che esce dal nodo forma un occhiello utilizzato per reinserirsi nel nodo successivo. Gli occhielli vengono recisi poi tutti insieme con una bacchetta di ferro. Caratteristica dei tappeti tibetani era di essere foderati o bordati con fasce di panno rosso, venivano confezionati con lane locali, di Yak e pecore tibetane. Proprio i materiali impiegati, in particolare lo spessore del vello e la densità dei nodi, indicavono la qualità di un tappeto. Nel corso del 1900 si iniziò nell'orditura a sostituire il cotone alla lana, mentre le tinte chimiche soppiantarono quelle naturali vegetali. I tappeti tibetani hanno nome e forma diversi: cuscini (jangbye), schienali (thigyabyo), da seduta per Alti Lama (gomden), personali (khaden e nyeden) e via via. Un tipo particolare di tappeto, kyongring o kyongden, era destinato alle lunghe e strette panche dei monaci, e riportava quadrati di circa 60 cm. atti a indicarne la seduta.

mercoledì 26 marzo 2008

I Tappeti tibetani - Approfondimento

La produzione locale dei tappeti tibetani e molto antica, il suo culmine massimo lo raggiunse tra il Seicento e l'Ottocento per soddisfare alcune funzioni litrgiche: si annodarono infatti numerosi manufatti destinati ai templi. Molto utilizzati erano i cosiddetti tappeti a colonna con dimensioni oscillanti tra 0,60 x 0,80 e 1,80 x 3,60 metri, che venivano poi legati con robusti lacci ai fusti delle colonne dei luoghi di culto; diffusi anche i tappeti da meditazione, su cui i monaci si sedevano in preghiera per ascendere alla buddità, e anche le lunghe corsie utilizzate da porsi sulle panche dei templi. Si producevano inoltre manufatti per sellare o bordare gli animali da soma, spesso resi più resistenti da fodere in stoffa o in feltro; in tale ambito risultano particolarmente originali alcuni coprisella dalla curiosa forma a farfalla.
I tibetani instauravano con il tappeto una sorta di simbiosi e attribuivano ai segni di questi tessuti valenze di tipo scaramantico, come nel caso del fior di loto e del pipistrello, o propiziatorio, come per i tessuti a scacchiera bicromi , che venivano posti davanti alle porte o alle finestre col duplice scopo di mantenere il tepore e allontanare gli spiriti maligni.
Gli antichi esemplari tibetani furono realizzati con lane locali e rivelano un'annodatura grossolana. Nei disegni sono riconoscibili influenze indiane e cinesi, le immagini riproducono spesso i più famosi simboli buddisti però più suggestivi nei colori rispetto a quelli cinesi. Fiori di Loto, Tigri, Draghi, Fenici, Melograni, Peonie, e ancora il Nodo Senza Fine e il Mandala – provengono da un passato lontanissimo e fanno parte della memoria collettiva del popolo che li ha creati. Da ricordare i tappeti monocromi, che rappresentano il vuoto, inteso a esprimere concettualmente la possibilità infinita di manifestazioni del buddhismo tantrico ed i tappeti con la Tigre che erano destinati ai Lama.





Ecco un eccezionale documento fotografico di immagini di tappeti e di vita tibetana: http://www.tcoletribalrugs.com/article6.html

Infine un breve significativo passaggio del famoso film "Sette anni in Tibet" con Brad Pitt.

P.S: per una visione ottimale del filmato è consigliabile bloccare la musica del sito intervenendo sul pulsante stop dell'mp3 virtuale presente nel menù a sinistra del blog.


martedì 25 marzo 2008

I tappeti Tibetani

Questa settimana la voglio dedicare al tappeto tibetano.
Sebbene avessi incominciato un discorso (anche abbastanza lungo) quale quello della storia del tappeto annodato, credo sia necessario, almeno per la mia coscienza riconoscere con questo argomento fuori programma un tributo a questa popolazione estremamente pacifica e positiva oggi definitivamente messa a rischio dall'imperialismo e dall'aggressività cinese.
Quando un popolo distrugge un altro popolo, non solo si commette un orribile genocidio, un olocausto, ma si distruggono, si disperdono, si annientano culture, saperi, arti che vengono irrimediabilmente private al mondo intero. Se il concetto della globalizazzione fosse vero e reale, se l'universalismo tanto decantato dai poteri forti e dai media fosse inteso come quello di Cristo... allora non sarebbe difficile capire, comprendere quanto il Tibet sia di tutti e non solo della Cina o del Tibet stesso. E' impossibile, almeno per me, proseguire un sereno dibattito in questo clima, non mentre centinaia di tibetani vengono uccisi e arrestati in un clima di olimpiadi del tutto fuori luogo. In questa settimana zoppa (incominciata di martedì) ho deciso di aprire questo paragrafo molto attuale, sulla cultura e l'arte tibetana nel tappeto, un'arte che rischia di essere definitivamente spazzata via e che merita qualche giorno di approfondimento.

P.S. come noterete, e come ho spiegato nel blog "Diario di bordo", in sintonia con questo mio pensiero ho voluto inserire nell'header dei miei siti uno striscione di solidarietà al Tibet. Chi fosse interessato a fare altrettanto nel proprio sito può farlo prelevando questo codice per poi inserirlo nella parte head del proprio blog o sito:


Codice



venerdì 21 marzo 2008

Buona Pasqua a tutti!

Siamo giunti alla vigilia di Pasqua e io ne approfitto per staccare completamente la spina, anche quella del blog. Per tre giorni Tappetorientale non pubblicherà "articoli".
A martedì prossimo dunque, con altri ripercorsi storici sulla storia del tappeto orientale annodato. Buona, felice e serena Pasqua a tutti!

Un saluto in particolarmodo ad antonio, mio affezionato lettore che spesso interviene con preziosi e apprezzati commenti.

I sumeri conoscevano il tappeto?

Che tra la lana, il lino e la stoffa sumera vi fosse già qualche esemplare di tappeto annodato non è da escludere tassativamente. La civiltà mesopotamica era infatti potente politicamente e commercialmente sviluppata e si avvaleva di conoscenze e di gusti non soltanto suoi, come sempre accade nelle grandi civilità, che fungono da punti di catalizzazione di progresso e scoperte proprie e altrui.
In Sumeria giungevano prodotti dall'Elam e dalla Siria, dal Mar Rosso e dall'India e lungo le antichissime carovaniere antesignane della via della seta, si trasferivano olio, datteri, vino, spezie, coralli, rame e grano nonchè tessuti di lana, lino e seta. Perchè tra questi non anche qualche tappeto da pavimento, tessuto o annodato?
Questa supposizione troverebbe conferma nelle pitture murali venute alla luce in Mesopotamia che testimoniano l'uso dei tappeti di lana fin dal IV millenio a. C. quindi proprio nell'epoca delle civilità dell'Elam e di Uruk, contemporanee di quella Sumera.



Tratto da "I Tappeti" di M.L. Varvelli

giovedì 20 marzo 2008

Il tappeto di Feltro: progenitore dei tappeti Persiani di oggi

Guglielmo Robruck nel suo libro intitolato Viaggio nei paesi orientali, scritto intorno alla metà del 1200, descrivendo l'organizzazione della società mongola e parlando del "ail" (il nucleo familiare dotato di propria economia individuale sul quale poggia l'intera struttura feudale della steppa) dice: "Essi fanno anche del feltro, con cui coprono le casse. Gli uomini fanno archi e frecce, producono staffe e briglie, confezionano selle. Le pelli le preparano servendosi del latte cagliato... il compito delle donne.. nel preparare pelli e nel cucirle insieme. Confezionano altresì sandali e altri oggetti d'abbigliamento. Esse precisamente cuciono insieme un feltro di un colore e uno di un altro componendo foglie di vite ed alberi, uccelli e animali."
Giovanni Pian del Carpine nella "Storia dei Mongoli" scritta nel 1246, descrive le abitazioni dei tartari e specifica che "le loro case sono rotonde come tende e son fatte di verghe e di sottili bastoni... Pareti e tetti sono ricoperti di feltro e pure le porte sono fatte di feltro.
Ancora oggi i feltri vengono utilizzati nel Turkestan, realizzati stendendo, a strati successivi, sottili spessori di lana bagnata su canne poi pressati fortemente. Sono poi decorati ed utilizzati come tappeto, sottosella, asmalyk, giaciglio, o anche copertura della yurta (tenda).
L'utilizzo del feltro ha cartterizzato tutto il mondo antico: foderato di feltro era l'elmo di Ulisse come lo descrive l'Iliade: di cuoio, internamente imbottito in feltro; e di feltro erano le tende degli antichi Unni e dei Turchi di cui parlano antichi testi cinesi nei primi secoli dopo Cristo. In Turkestan sono stati trovati reperti risalenti a parecchie centinaia di anni della nostra era e risulta che i Persiani del 500 a.C. conoscessero l'uso del feltro e lo applicassero a manufatti diversi, tappeti e parti di abiti.

mercoledì 19 marzo 2008

Il primo tappeto fu l'erba

Molto tempo prima dei Greci e dei Romani, i nomadi furono i popoli più importanti del mondo. chi altri se non infatti loro sono stati fin dalla preistoria la via di comunicazione tra le popolazioni stabili? La storia dei nomadi riassume in gran parte la storia dell'umanità, così dicono gli scienziati. Inizialmente infatti le migrazioni dei popoli sono state causate da ragioni ambientali quali i cataclismi della natura o mutamenti di clima che obbligarono i popoli primitivi alla ricerca di pascoli più ubertosi per le loro mandrie, costringendoli ad esplorare zone nuove e conquistare terreni sconosciuti. I primi tappeti nomadi furono certamente di erba, di corteccia e di pelle animale. Reperti ci fanno ritenere che le popolazioni palafitticole e cavernicole intrecciassero stuoie vegetali per riparare i piedi nudi. Il primo filo fu probabilmente di erba, di capelli attorti o di intestino di animale e la prima tintura fu scoperta casualmente nel corso delle conciatura con sostanze vegetali. Ma se il tappeto fu invenzione dell'uomo nomade, spinto dal freddo, dall'umido e dal bisogno di ripararsi dal contatto della terra nuda, è certo che il secondo tipo di tappeto non nacque nè tessuto, nè annodato, ma probabilmente in modo casuale, dalla combinazione di lane animali bagnate e mescolate tra loro fino a formare il feltro. Di questo, (del tappeto in feltro) ne parleremo domani.

martedì 18 marzo 2008

Frammenti del passato

Il tappeto è certamente nato dopo la prima tessitura piana (non annodata), dopo la filatura e la preparazione del filato, e dopo l'invenzione del telaio . Gli studiosi affermano che il telaio esisteva ben prima del 3000. a.C. brani di tessuto sono stati trovati in Svizzera e riferiti all'età del rame. Indumenti di stoffe del neolitico ed altre che risalgono all'età del bronzo inferiore (secondo millennio a.C.) sono venuti alla luce in Danimarca. A quelle lontane epoche, quindi risalgono i primi tappeti europei degni di questo nome; è da ritenere che in precedenza, le popolazioni palafitticole e cavernicole avessero già intrecciato stuoie vegetali per riparare i piedi nudi. In Egitto e in Mesopotamia intorno al 3000. a.C era diffuso il telaio, che serviva non solo per abbigliarsi di leggerissimi veli di lino , ma anche per grandi tele da appendere alle pareti, come sappiamo da documenti rinvenuti nelle tombe dei faraoni. Drappi di vario genere addobbavano le case dei ricchi e venivano stesi sui tavoli, altri erano impiegati come scendiletto.
Sulla base di queste testimonianze la giovane scienza del tappeto orientale considera dunque che i primi tappeti in forma non annodata fossero già in uso a partire dal 3000 a.C. ma sono informazioni che giungono da un passato che riemerge di volta in volta con nuove testimonianze, con nuove scoperte, ognuna delle quali può spostare la lancetta dell'orologio di parecchie centinaia di anni. del resto alcune stoffe in lana appaiono anche in alcune pitture murali, scoperte pochi decenni fa in Medio Oriente e risalenti al quarto millennio a.C. mentre alcuni frammenti di tappeto piatto riconducibili al periodo protostorico sono stati rinvenuti in caverne dell'Asia centrale.
Non resta dunque che proseguire questo lento cammino di ricerca, attendendo i nuovi reperti, le nuove scoperte, nella speranza che questi in un prossimo futuro, possano fornirci quegli elementi utili e agoniati per delineare in maniera comprovata quel periodo storico preciso, durante il quale l'umanità fece questa grande conquista che si chiama tappeto.

lunedì 17 marzo 2008

La storia del tappeto

A chi appartenevano - a quale razza, sotto quale cielo - le prime mani che annodarono il filo sull'ordito di un telaio primitivo, lo strapparono e lo tagliarono invece di di proseguire la tessitura della semplice trama e crearono un tappeto annodato? Domanda assurda eppure strettamente reale. Ci fu certamente infatti il giorno in cui un uomo o una donna inventarono il primo tappeto annodato. Di nessuna conquista artigianale esiste la data di nascita, per questo interrogare un passato che non può rispondere può sembrare assurdo; tuttavia è possibile stringere al tappeto un cerchio di documentazioni comprovate, nel tentativo di delinare un'epoca esatta in cui collocare la nascita di questo manufatto. Questa settimana verrà dedicata interamente a questa ricerca: comporre il complicato puzzle della storia, collocare il manufatto tappeto nella sua giusta epoca storica nonchè ripercorrere le sue fasi ed evoluzioni storiche, sarà la settimana de "La storia del tappeto".


Antico frammento di tappeto orientale


domenica 16 marzo 2008

Tappetologia

Decidere di fare dello studio dei tappeti lo scopo della propria vita è una decisione ammirevole e premiante che richiede amore, dedizione, impegno e persino risorse. Ma presto o tardi anche il più appassionato si ritrova a fare i conti con la realtà e inizierà a chiedersi: "chi sono io?". Definirsi esperto risulterà infatti troppo presuntuoso, in quanto i veri conoscitori sono molto pochi, forse una vita intera non sarà sufficiente per raggiungere una competenza universale.
"Studioso" poi sembrerà troppo poco calzante, l'immaginario collettivo è quello tipico dei personaggi da film, dove questa professione si concretizza nei mille viaggi in oriente da un villaggio ad un bazar, sovvenzionati da qualche ricco mecenate o da qualche provveditorato o ministero. La definizione "perito" parrà troppo formale, troppo amministrativa e riduttiva.
E dunque? Il salvagente è stato lanciato 26 anni fa da Kurt zipper un tedesco che aveva trovato la stessa difficoltà nel definire la sua professione di fronte all'inadeguatezza della lingua tedesca, e si tratta di un neologismo: Tappetologia (tapitologie, tapitology). Ecco dunque come definirsi: "tappetologo", e a chi chiederà lumi su questa professione, si risponderà che il tappetologo è chi studia i tappeti orientali e tutto il contesto in cui vengono prodotti: la storia, la geografia, l'ambiente, il clima, la popolazione, la lingua, la cultura, la religione, la tradizione. Grazie a questo neologismo si è riusciti ad abbaracciare ed unificare una serie di professioni e categorie: dai mercanti ai collezionisti, fino a far stringere i legami tra studiosi di differenti discipline, che insieme hanno gettato le basi per lo studio dell'arte del tappeto. Questo sito tratterà esattamente questo, l'eterogeneità degli argomenti previsti dalla tappetologia, e ben vengano quindi i visitatori e gli appassionati anche con i loro contributi, perchè tutti possono dare il loro aiuto per far crescere questa eclettica scienza.

Articolo liberamente adattato da "tappeti studiosi e tappetologia" della rivista Gherèh

venerdì 14 marzo 2008

Il tappeto annodato: messaggio di civiltà

Gli studiosi concordano che il tappeto sia nato con lo scopo di imitare la pelle animale che veniva usata nelle tende dalle popolazioni primitive dedite alla pastorizia, per isolarsi dal freddo e dal terreno. Creando una pelle artificiale si evitava di uccidere gli animali necessari alla vita della tribù e neanche se ne dovevano cacciare. La lana si coglieva come un frutto dall'albero e non solo si rinnovava spontaneamente ad ogni stagione ma era più morbida, calda e maneggevole della pelle animale.Il tappeto nacque quindi prima di tutto come esigenza d'uso, all'interno di una vita (quella pastorale) che faceva della condivisione con la natura la propria filosofia. Ma tessere un semplice oggetto d'uso non poteva bastare, ben presto il pastore nomade che poteva proseguire a tessere tappeti monocolore usando la lana a sua disposizione, decise di aggiungere dei peli neri di capra, da queste prime sperimentazioni nacque poi la tintura delle lane attraverso l'estrazione di principi coloranti da fiori, bacche e radici. Sul suo vello i nomadi iniziarono a rappresentare i simboli dei clan di appartenenza e i momenti significativi della propria storia, ma non solo: iniziarono a dare anche espressione alla loro creatività, volta a celebrare con colorati e molteplici decori l'esaltazione di una natura rigogliosa e variopinta, tanto più agognata e idealizzata presso genti destinate a vivere in terre aride e desertiche. Il tappeto è dunque una espressione artistica e culturale dei popoli del medioriente, attraverso il quale essi trasfigurano i loro valori, li iconizzano nelle mille aiuole fiorite, nelle figure zoomorfe, negli animali stilizzati, nei cipressi e negli alberi della vita, nei vasi fioriti. Il patrimonio dei clan è il gregge, esso fornisce la lana, ed è attraverso di essa che ruota l'attività principale e l'economia di una vita che ha fatto del tappeto il fulcro esistenziale e filosofico della sua esistenza. Ma anche il baco da seta è parte di questo sistema, Kaj Birket Smith scrive che il baco può essere considerato un vero e proprio animale domestico al servizio dell'uomo fin dal tempo dello Shang. Il lavoro si prepara in un attimo. le donne, cui è devoluto per tradizione il compito di montare il campo ad ogni sosta della carovana, drizzano anche il telaio e vi poggiano vicino la balla della lana filata e tinta. Annoda l'uomo, mentre i giovani sono col gregge; annodano i ragazzi, mentre il capofamiglia si riunisce con gli altri per decidere la direzione della carovana, annoda la donna o la ragazza, quando questa ha finito di cucire le vesti e ordinare le tende e di occuparsi del cibo. Quale altro manufatto può venire preso e lasciato in qualsiasi istante, continuato da mani diverse (purchè sia la stessa che preme poi con il pettine le file di nodi a formare la compattezza del tessuto), eseguito nell'angolo di una tenda senza arrecare alcun diturbo alla vita che gli si svolge intorno, richiedendo solo una mtassa di lana e una forbice? E' proprio questa estrema semplicità del tappeto, nonchè la sua ecologicità nel realizzarlo, la parte integrante del suo fascino che lo disegna come una delle più raffinate creazioni dell'intelligenza umana nell'ambito di un habitat particolarissimo.


Immagine di vita negli altopiani dello Shiraz persiano

Kashan ad albero della vita della fine del XX° secolo

Articolo liberamente adattato da "I tappeti" di L.Varvelli

giovedì 13 marzo 2008

Gli abrash

Un caratteristico fenomeno legato alla colorazione delle lane di un tappeto è il cosidetto "abrash" o variazione di colore, ben chiaro soprattutto sugli sfondi a tinta unita. L'abrash è quel salto di colore nel vello che caratterizza e conferma la genuina artigianalità dell'esemplare, esso può scaturire per varie ragioni.
  1. decisione dell'annodatore, che in corso d'opera, non ritiene più soddisfacente un certo risultato

  2. una matassa di lana proveniente da un altro bagno di colore

  3. un' interazione chimica dei colori, con le sostanze minerali presenti nelle differenti acque con le quali il manufatto viene di volta in volta lavato, durante gli spostamenti della carovana

  4. l’utilizzo di un’insufficiente mordenzatura, procedimento che consente l’assorbimento e il fissaggio delle tinte alle lane

  5. una non perfetta ripreparazione della tinta per i filati necessari a terminare un annodato. Infatti, “pesare” in modo esatto una base di tinta vegetale è molto più arduo che utilizzare una tinta a base sintetica già preparata

Anche se gli abrash sembrano compromettere l'effetto di uniformità cromatica e possono indurre l'inesperto a interpretarli come una imperfezione, costituiscono invece una delle prove più sicure sulla provenienza artigianale di un tappeto, in quanto dimostrano che il manufatto in questione è tinto dal suo stesso annodatore. L'abrash è - quando si tratta di una manifattura rurale e/o nomadica - pertanto una garanzia, per un prodotto di manifattura cittadina o di atelier, può anche essere invece ritenuto a giusta ragione un difetto. Voglio ricordare infine che persino i prodotti meccanizzati (siano essi tappeti realizzati in Belgio piuttosto che in Marocco) usano talvolta replicare l'effetto dell'abrash.

mercoledì 12 marzo 2008

Materie prime - Le tinture chimiche

Di primo acchito si è indotti a esprimere un giudizio negativo sulle tinte sintetiche, eppure anch'esse hanno dato e proseguono a dare il loro contributo importante nella realizzazione dei tappeti annodati. Prima di tutto, senza di essi, molte produzioni sarebbero ormai certamente scomparse o avrebbero raggiunto prezzi così vertigginosi da non favorirne un commercio florido, ma solo di elite. In secondo luogo la diffusione dei colori chimici ha sicuramente ampliato la gamma cromatica e spesso tale varietà contribuisce a rendere ancora più belli tanti manufatti.
I coloranti chimici possono essere all'anilina, introdotti in oriente dalla Germania nel 1870, o al cromo. I primi sono decisamente scadenti, non resistono all'acqua e sono facilmente riconoscibili poichè al rovescio del tappeto mantengono un tono molto carico , mentre sbiadiscono facilmente al vello. I secondi invece sono buoni sotto tutti i punti di vista. Con sistemi di colorazione chimica si ottengono quei tappeti "scoloriti" o "ridotti" nel colore che incontrano il gusto occidentale per la loro originalità e che furono realizzati per primi dagli inglesi. Le migliori produzioni contemporanee adottano procedimenti di colorazione mista, che affiancano alle tinte naturali alcune tinte sintetiche, utilizzate per particolari ti pi di tonalità e policromie.


martedì 11 marzo 2008

Materie prime - Le tinture di origine minerale

Contrariamente allo sterminato ventaglio dei colori vegetali, i colori minerali reperibili in natura ed utilizzati tradizionalmente per la tintura delle lane sono pochi. Essi sono ottenuti dall'ossido di ferro (nero e grigio) e dal solfato di rame (arancio) nonchè dalla combinazione di altri sali con coloranti vegetali. Queste sostanze hanno lo svantaggio di scolorire con la lunga esposizione alla luce.


Calcanite. solfato di rame

lunedì 10 marzo 2008

Materie prime - Le tinture di origine animale

Tra i coloranti naturali di origine animale che vengono utilizzati per la tintura delle lane, il più conosciuto è quello proveniente da un piccolo parassita delle piante, la cocciniglia indiana e messicana che, schiacciato e polverizzato, produce un colore rosso con sfumature quasi azzurre. Simile alla cocciniglia sono il Porphirophora Hameli che consente la produzione del color porpora ed un altro insetto turco che produce il caratteristico rosso armneno.
Senza bisogno di procedimento alcuno, sono invece le tinte marroni, nere o bianche delle lane degli animali, siano essi pecore, capre o cammelli quando queste vengono usate nella loro colorazione naturale.


Alcuni esemplari di cocciniglie.

domenica 9 marzo 2008

Materie prime - Le tinture vegetali

Nonostante la diffusione dei colori sintetici, anche oggi le più prestigiose manifatture d'oriente e quelle domestiche si avvalgono dell'uso di tinte naturali, estratte e preparate secondo modalità ormai molto antiche, nei casi di certi villaggi inoltre l'uso di questi coloranti risulta anche più conveniente rispetto all'alto costo di quelli chimici. Nella famiglia dei colori "naturali" i più famosi sono sicuramente quelli vegetali, essi si ricavano dalle foglie, dalle radici e dai frutti di varie piante che ancor oggi vengono coltivate in alcune piantagioni, in Turchia chiamate "oyalik", e site nei pressi delle zone in cui la tessitura dei tappeti è più intensa.
Dalla Turchia alla Persia la stessa radice della "robbia" viene scortecciata e ridotta in polvere per procurare la tinta rossa. La pienezza del colore è ottenuta lasciando la tinta per un'intera giornata nell'acqua corrente e poi asciugandola. Per avere sfumature rosa-rosse si può mescolare del siero alla robbia e lasciar fermentare al sole; per ottenere l'arancio si possono aggiungere cristalli di acido citrico. Un rosa particolare si ottiene direttamente dal legno del brazilwood. Il viola di origine vegetale si ricava dall'hennè, lo stesso con cui le donne africane si tingono il palmo delle mani e le unghie. Altri coloranti vegetali sono lo le foglie dello zafferano e la scorza della melagrana e dell'isparak, altra pianta da lattice, la curcuma o la bacca del susino selvatico che producono tinte di varie tonalità di giallo. Anche da un legno speciale cinese ed indocinese si ricavano estratti per colore vegetale, mentre dalle foglie macerate dagli indicoferi si produce del colore nero e del blu. Il verde si ottiene vegetalmente usando colori blu e gialli variamente dosati tra loro, mentre i grigi e i marroni provengono dalla scorza della quercia, dalla noce di galla e dai malli di noce.

sabato 8 marzo 2008

Materie prime - Le tinture

La particolare bellezza di un tappeto annodato è dovuta in gran parte al suo colore, che è caldo, vivo, irripetibile. Ciò si doveva fino a poco tempo fa, ai processi di tintura della lana con coloranti naturali, siano essi stati: vegetali, animali e minerali. Le radici di alcuni alberi, le bacche, la frutta e gli insetti erano le materie prime da cui ricavare le tinte di base. Oggi i colori naturali si trovano solo nei tappeti prodotti da alcune popolazioni nomadi o in villaggi sperduti dell'Medio Oriente o dell'Asia oppure in produzioni sostenute e patrocinate dai governi locali con progetti governativi che tutelano e realizzano manifatture costose (un esempio per tutti sono i Gabbeh). Dal 1860 i coloranti sintetici hanno preso il sopravvento sulle tinte naturali sostituendole quasi completamente. Inizialmente contestati, i colori chimici, dopo anni di tentativi i cui risultati erano facilmente riconoscibili e sempre scadenti, si è giunti ormai ad un perfezionamento delle tecniche di tintura che permette di ottenere colori chimici equivalenti per bellezza, durata e brillantezza, ai colori prodotti con materie vegetali, minerali o animali. Chi vende un tappeto nuovo di Lahore o Rabat, piuttosto che un Kirman o un Karachi, proponendolo come un tappeto realizzato con lane tinte vegetalmente, opera una menzogna, lo fa per aggiungere valore al tappeto descritto, lo fa per vendere più facilemente l'esemplare, lo fa per compiacere l'acquirente. Purtroppo è questo genere di commercio "creativo" che contribuisce a rendere il mercato del tappeto come un qualcosa per soli esperti, quando invece una esatta e corretta informazione otterrebbe non solo la preparazione del cliente e del pubblico, ma a anche una onorata sincerità del commerciante che si tradurrebbe sicuramente in una disponibilità all'acquisto da parte del cliente. Dire all'acquirente che un tappeto non è colorato vegetalmente, non significa perdere la vendita, significa solo informare l'utenza di una realtà che comunque non cambia la pregevolezza del pezzo.

venerdì 7 marzo 2008

Materie prime - Il cotone

Il cotone viene ricavato trattando la peluria cellulosica che avvolge i semi di Hybiscus gossypium . Grazie alla sua resistenza risulta molto adatto per realizzare l'armatura dei tappeti, cioè ordito e trama , mentre non lo è altrettanto per il vello perchè a contatto con l'umidità tende ad arricciarsi. Gli esemplari dalla struttura realizzata in cotone sono piuttosto pesanti e compatti, in quanto permettono a differenza di quelli realizzati con orditura e tramatura in lana, una più fitta e serrata annodatura.

giovedì 6 marzo 2008

Materie prime - La seta

I tappeti in seta vengono notoriamente classificati tra gli esemplari più pregiati. Tale fama è sicuramente meritata, poichè le fibre seriche sono in grado di conferire ai manufatti una lucentezza davvero unica, rendendo cangianti i colori e nitidi i disegni. Sono inoltre molto resistenti alla trazione e per questo adatte a realizzare orditi con una buona tenuta, impreziositi poi da nodi fitti e piccolissimi, che solo la seta permette di eseguire. Già nelle manifatture antiche questo materiale era utilizzato per realizzare gli esemplari di maggior pregio, tradizione che tutt'ora prosegue, anche perchè solo esperti annodatori sono capaci di non sprecare eccessive quantità del prezioso materiale nella fase di lavorazione. Tra gli esemplari in seta tutt'ora più pregiati, ricordiamo i Qum, gli Isfahan e i Kashan, gli Herekè e gli Agra.
La seta pura si ricava dal bozzolo del bombice del gelso, detto comunemente baco da seta. In esso l'animaletto si avvolge nel momento della metamorfosi che lo farà diventare crisalide e poi farfalla. gli allevatori nutrono i bachi con gelsi di ottima qualità, poichè l'alimentazione è determinante per ottenere un filato pregiato. Non appena formati, i bozzoli vengono essicati per far morire le crisalidi, quindi immersi in bagni di acqua calda per liberarli da ogni impurità. Ogni bozzolo è poi svolto in fili che vengono poi successivamente ritorti insieme, per la realizzazione dei tappeti solitamente si usano filati con 7-9 fibre.
Uno degli aspetti che rende la seta così preziosa è l'elevata percentuale di scarto in fase di lavorazione: da sette chili di bozzoli si ottiene non più di un chilo di seta pura.
La Persia che non dispone di allevamenti di baco da seta, produce la maggior parte dei tappeti in seta importando questo bene prezioso dalla Cina o da altri paesi orientali. La seta naturale usata invece per i tappeti turchi (Herekè, Kayseri e Ladik) proviene invece dai bachi da seta di Bursa, che è uno dei pochi centri di produzione di seta naturale ancora esistenti al mondo.

In ordine: il baco ed uno splendido tappeto realizzato in seta.

mercoledì 5 marzo 2008

Materie prime - La lana

La lana ovina è indubbiamente la materia prima più utilizzata per realizzare manufatti annodati. Saperla scegliere e lavorare risulta importantissimo perchè la qualità del filato incide sulla morbidezza e sulla resistenza del tappeto ed è determinante anche per far risaltare la lucentezza dei colori e i particolari dei disegni. Per questo non sono di gran pregio i manufatti realizzati con lana di capra e di cammello, che sono piuttosto ruvidi e poco luminosi.
Non tutte le pecore offrono materie prime di qualità; solo alcune razze, infatti si distinguono per il loro vello particolarmente morbido e adatto ad assorbire il colore, anche grazie ad un'alimentazione molto controllata. E' sempre preferibile utilizzare ovini con un vello non troppo arricciato, perchè per allisciare i filati è spesso necessario trattarli con sostanze artificiali che possono alterare la loro resistenza. E' importante inoltre effettuare la tosatura in precisi momenti dell'anno: meglio in primavera o alla fine dell'estate, ricordando che la lana più pregiata si ricava dalla spalla, dal sottogola e dal dorso. Il vello degli agnellini di 8 - 12 mesi fornisce una materia prima di eccezionale qualità, la lana kork ad esempio viene scelta tra la parte migliore della tosatura del dorso d'agnello, d'età compresa tra gli otto e quattordici mesi, di razze bianche diffuse nella regione di Khorassan e poche altre regioni persiane. Il vello degli agnellini di 8 - 12 mesi fornisce una materia prima di ottima qualità, con una consistenza quasi serica.
Una volta tosata la lana viene sottoposta al lavaggio, necessario per togliere tutte le impurità e per sgrassarla. gli artigiani più esperti sanno però che il trattamento non dev'esser troppo radicale, perchè una giusta percentuale di grasso rende i filati particolarmente morbidi.
Una volta lavata, la lana viene asciugata con cura, possibilmente tramite esposizione al sole per renderla più vaporosa, viene quindi poi cardata e filata. Nelle manifatture contemporanee è più facile che quest'ultima operazione sia compiuta meccanicamente, anche se la filatura a mano è ancora la migliore, in quanto consente di eliminare ogni irregolarità della fibra, rendendola molto compatta e adatta ad ogni tipo di lavorazione.

Una curiosità: l'analisi della modalità di filatura della lana può permettere talvolta di identificare la zona di provenienza di un tappeto, in alcune zone la torsione del filato è sempre in senso orario (torsione a Z) in altre regioni invece viene effettuata in senso antiorario (torsione a S), il numero dei fili a "S" e a "Z" ritorti insieme possono talvolta rivelare persino la città in cui l'esemplare è stato eseguito.


martedì 4 marzo 2008

Meterie prime e procedimenti di lavorazione

Considerare semplicemente il tappeto come un prodotto annodato su telaio, è una rappresentazione idealizzata del nostro immaginario occidentale, molto riduttiva di questo fenomeno artistico e culturale, che è invece la somma di molteplici operazioni. A monte della realizzazione di un tappeto annodato, infatti, ci sono gli allevamenti ovini o di bachi, i filati ed i loro procedimenti di colorazione. Una sintesi verbale di queste operazioni non rende merito, e neppure dà la minima idea di quanto possa essere invece eleborata e importante la procedura di preparazione alla realizzazione di un tappeto. Per comprendere quanto sforzo, sapienza, dedizione, amore ed esperienza si celano dietro ad ogni manufatto annodato: dalla tosatura della lana, fino alla pettinatura del prodotto finito; cercherò di aprire in questo sito una breve parentesi il più possibile esaustiva, che, suddivisa in diversi appuntamenti descriverà la dinamica del tappeto orientale nella sua intierezza.
A domani dunque, con il primo paragrafo dedicato alla lana.


Immagini ritraenti la tintura e l'asciugatura della lana.

lunedì 3 marzo 2008

Il ruolo della donna nella confezione dei Tappeti annodati

L'automazione e la produzione industriale hanno in genere scarsamente inciso sulla creazione dei tappeti e anche ai giorni nostri i migliori esemplari, soprattutto in ambito persiano, vengono realizzati avvalendosi di antichi ed elaborati processi artigianali. In alcuni villaggi dell'Iran l'inizio della messa in opera di un tappeto rappresenta tuttora un momento di particolare gioia nella vita della collettività, celebrato con giorni di festa durante i quali tutti sono invitati a ballare e a banchettare. In questa occasione si è soliti intonare una significativa canzone, una sorta di inno al tappeto che con le sue strofe ancora una volta ribadisce l'importanza che i manufatti annodati rivestono nella cultura dei persiani.
Si inizia poi il lavoro vero e proprio, un lavoro paziente, che spesso può durare anni, in cui i maestri annodatori e tintori devono profondere tutta la loro abilità per creare un esemplare davvero eccezionale.
La realizzazione dei tappeti è un'arte che si può coniugare quasi interamente al femminile, dal momento che proprio alle donne vengono demandati alcuni tra i compiti più importanti e delicati. innanzitutto si rivelano le annodatrici più esperte, capaci di utilizzare con una maestria veramente sorprendente le loro minute e velocissime dita, ma il ruolo non si limita alla semplice esecuzione di questo compito manuale . Spesso, infatti, inventano i disegni o l'insieme dell'impianto decorativo, e soprattutto nelle produzioni periferiche , maestra dei decori è quasi sempre una donna che, ponendosi accanto al telaio su cui tessono le altre annodatrici, impartisce precise indicazioni per realizzare i disegni. Sempre le donne, infine tessono la lana e tingono i filati, denotando una perizia nel trattamento delle materie prime che è frutto di una millenaria esperienza tramandata di madre in figlia.


domenica 2 marzo 2008

Nomi di città e non di artisti

Fino alla vigilia dell'era moderna tutto ciò che serviva alla vita quotidiana era esclusivamente fabbricato a mano. Ora la macchina ha sostituito il lavoro manuale e la tradizionale millenaria arte artigianale non è più d'uso; quel poco che ne è rimasto tende sempre più a sparire sotto l'incalzare della tecnologia moderna. Gli oggetti fatti a mano di cui ci serviamo oggigiorno sono pochissimi . Uno di quelli che si rendono tanto utili a noi e che sono il prodotto di un'arte che ha una tradizione di oltre 20 secoli , è il tappeto annodato a mano.
La tessitura dei tappeti è un'arte che si esplica secondo norme che si trasmettono da secoli da generazione in generazione, con un lavoro collettivo in cui partecipa la famiglia, spesso la tribù e talvolta il villaggio intero! Tali tappeti che sono il prodotto di un paziente lavoro che dura mesi e talvolta anni, sono confezionati in determinate regioni ognuna delle quali esprime a seconda della propria esperienza e cultura un diverso metodo di confezione, di decoro e di uso del materiale, per questo la maggior parte dei tappeti prendono la loro denominazione dal villaggio o dalla loro regione d'origine; essi costituiscono testimonianza etnologica e spesso sono vere opere d'arte i cui autori (salvo rari casi) sono definibili come "artisti anonimi". Del resto il tappeto non nasce per estro, capriccio, o ricerca del singolo, sia esso un semplice artigiano tessitore, sia esso un'artista; sebbene queste opere possano talvolta contemplare questi valori, i tappeti sono prima di tutto espressione di cultura di comunità e di religiosita, ma sopratutto si tratta di un lavoro famigliare che da il suo contributo all'economia domestica e in certi casi alla nazione stessa. Che questa gente lavori a casa, nelle tende o negli atelier, non importa, si tratta comunque di un'arte alla quale gli autori si riferiscono, rimanendo fedeli ai disegni e alle dimensioni caratteristiche della regione. E' grazie a questo riservato e rispettoso anonimato, è grazie a tale spirito conservatore nei rispetti della tradizione, che si possono tutt'ora ammirare collezioni intere di tappeti recenti tali e quali (negli stilemi e nelle dimensioni) a quelle che vide Marco Polo durante i suoi viaggi.

sabato 1 marzo 2008

Il collezionismo del tappeto orientale

Un bel tappeto lavorato a mano, oltre ad essere un oggetto domestico d'uso quotidiano, è sopratutto un'opera d'arte che offre piacere e gioia a chi lo possiede.
La contemplazione di un bel tappeto, come quella di un dipinto raro, suscita l'ammirazione, commossa di chi lo guarda. D'altra parte tutt'oggi, a dispetto di chi pensa il contrario, un tappeto annodato a mano può costituire un'ottimo investimento finanziario, perchè in breve tempo acquista sempre più valore e può arrivare a raggiungere talvolta un prezzo molto alto.
Per queste e molte altre ragioni ancora, anche nel campo del tappeto annodato (come in tutti i campi artistici del resto) è nata col tempo la figura del collezionista di tappeti.
Dobbiamo molto noi occidentali a queste figure, perchè i collezionisti di tappeti rappresentano con la loro instancabile ostinazione e la loro disponibilità ad investire, la più alta spinta allo sviluppo della conoscenza (dopo gli studiosi) di quest'arte in occidente.
Metà degli esemplari raffigurati nei testi e nelle pubblicazioni fondamentali della tappetologia provengono da collezioni private, mentre l'altra metà dei tappeti provengono da collezioni museali, l'apporto scientifico che queste persone grazie alla loro "mania" hanno potuto dare e che tutt'ora forniscono allo studio della scienza del tappeto è quindi enorme e va degnamente ammirato e compreso con la stesso entusiasmo di quando si osserva un collezionista di tele fiamminghe o di opere d'arte moderne.