L'invenzione del tappeto si colloca presumibilmente nella stessa epoca neolitica a cui risalgono altre invenzioni che diedero origine a quella che è chiamata l'età del bronzo. Nato come mezzo per isolarsi dalla nuda e fredda terra e dai rigidi climi a cui le popolazioni neolitiche erano sottoposte, questo straordinario manufatto accompagnò l'uomo e le sue esigenze, plasmandosi nella tecnica, nei decori, ma soprattutto nella concezione d'uso, evolvendosi e trasformandosi nel tempo fino a raggiungere talvolta livelli raffinatissimi di esecuzione celeberrimi ormai in tutto il mondo e riconosciuti come opere d'arte. Ma come si presentavano i tappeti del neolitico? Quale struttura, quale tecnica, quali colori? Purtroppo a causa della loro natura degradabile, dei primi tappeti preistorici non ci rimane che qualche loro approssimativa descrizione sulle pitture murarie scoperte in area Mesopotamica e Anatolica come ad esempio quelle rinvenute negli scavi di Catal Huyuk e presso i reperti di Hacilar e Ur. Un’ancora di salvezza ci sopraggiunge da una tipologia di tappeto che possiamo definire "fossile vivente" e che nella sua perdurata sopravvivenza nei secoli si propone come un’utile chiave di lettura nell'analisi e nella rappresentazione ideale di quello che poteva essere un ipotetico tappeto protostorico, sono i Tulù e i Filikili. Questi tappeti caratterizzati da un vello lunghissimo realizzato con una particolare tecnica di nodo fioccato dissimili l’uno dall’altro solo per la tecnica di colorazione delle lane, nascono non per essere venduti sui mercati occidentali, ma per fornire un giaciglio sul quale dormire e al tempo stesso proteggere esotericamente coloro che vi dormono. Non esiste un modello tipo o una colorazione standard, come invece avviene nelle manifatture contemporanee industrializzate, esiste invece una primitiva sintesi iconografica e spesso un accostamento di colori sgargianti, utilizzati ed intesi com’era sin dal paleolitico come mezzo per scacciare le forze e gli spiriti maligni, il tutto nel rispetto della più antica e pagana tradizione anatolica e centroasiatica. L'ipotesi che la tecnica fioccata dei Tulù e dei Filikili rappresenti la tecnica di annodatura più antica venne supposta da May Houston nel 1920 e successivamente confortata presso gli scavi Ur, visionati e diretti da Leonard Woolley in Mesopotamia del sud, con la scoperta di reperti tessili datati intorno al 2600 a.C, tra la fine degli anni '20 e gli inizi degli anni '30. Esistono poi a conferma di questa felice intuizione una serie di manufatti invellati con tecnica Filikili (quindi a pelo lungo) riportati alla luce negli anni '30 a Palmira e Dura-Europos, le città siriane distrutte nel 256 d.C. Senza doversi aggrappare alle scarse e rare testimonianze di brani di tessuto sopravvissuti nel tempo, non è difficile -anche senza la conferma di indizi- cogliere in questi straordinari manufatti la testimonianza vivente di una tradizione che è radicata nella presitoria, e che è rimasta pressocchè identica da quasi cinquemila anni. Basta guardarli, e ce lo dicono l'istinto, il tatto, l'occhio; nella loro sobrietà esiste la più arcaica espressione del tappeto annodato, tanto nella forma quanto nel suo più profondo significato che è bivalente: quello cioè di essere realizzato come mezzo d'uso e al tempo stesso quello di rappresentare uno scudo protettivo dagli influssi negativi. I prezzi per i Tulù e i Filikili contemporanei sono nell'ordine di qualche migliaio di euro, e sono prezzi decisamente contenuti rispetto a quelli dei manufatti antichi che raggiungono cifre oltre i 20mila euro. Anche nel caso di esemplari relativamente giovani, la prospettiva di lungo termine, rappresenta per gli stessi una di quelle poche possibilità esistenti per gli acquirenti di acquistare un tappeto contemporaneo nell'ottica dell'investimento.
domenica 14 marzo 2010
Filikli e Tulù: fossili viventi di un annodatura primigenia
Submitted by
Alberto De Reviziis
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09:30
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