Tutto iniziò a partire dal XVI secolo, quando l'India era dominata dalla dinastia Moghul, fondata da Babur nel 1526 e rimasta al potere fino al 1858. Si narra che nel 1544 l'imperatore indiano Humayun fu costretto a rifugiarsi temporaneamente in Persia, presso la corte del sultano safavide Shah Tahmaps, per salvarsi da una rivolta afghana che metteva in pericolo la sua vita.Quando l'imperatore indiano potè ritornare in patria, lo fece portando con sè un gruppo di artigiani e maestri disegnatori di tappeti generosamente concessigli dal sovrano amico safavide. Così, in pochi anni, anche in India vennero aperti dei laboratori manifatturieri ad Agra, Lahore e Fatehpur, a cui i regnanti Moghul commissionavano superbi esemplari. Quest'epoca d'oro diede alla luce splendidi manufatti ancor oggi conservati nei più famosi musei del mondo, la loro caratterizzazione, pur nascendo dall'influenza persiana era viva particolarità di disegno e architettura negli impianti, con prevalenza assoluta di argomenti naturalistici.
Ma quando nel 1858 la dinastia Moghul perse il potere, cedendo dapprima a invasioni afghane e iraniche, poi alla colonizzazione inglese, la tradizione di annodare meravigliosi tappeti cadde in una irreversibile crisi. Oggi il tappeto indiano (salvo rare eccezioni) non possiede caratteristiche proprie nè significativo valore economico, in quanto la produzione locale su domanda, fa si che prevalgano modelli di imitazione. Questa mancanza di specializzazione si traduce in scadenti copie di manufatti persiani, di cui si tentano di imitare disegni e impianti. I tappeti indiani sono l'espressione di una stanca e poco originale trasposizione di motivi delle età passate, la maggior parte di essi ha colori tinti chimicamente, trama e ordito sono in cotone anzichè in lana, questo permette però un'annodatura molto fine e precisa. La nettezza del disegno e la solidità della contestura spesso con ordito doppio e file di trama triple o quintuple passate tre volte ciascuna dopo ogni fila di nodi costituiscono i pregi principali di una produzione che gli intenditori di tappeti considerano di genere corrente.
Alcune produzioni indiane:
Agra
FathpurMa quando nel 1858 la dinastia Moghul perse il potere, cedendo dapprima a invasioni afghane e iraniche, poi alla colonizzazione inglese, la tradizione di annodare meravigliosi tappeti cadde in una irreversibile crisi. Oggi il tappeto indiano (salvo rare eccezioni) non possiede caratteristiche proprie nè significativo valore economico, in quanto la produzione locale su domanda, fa si che prevalgano modelli di imitazione. Questa mancanza di specializzazione si traduce in scadenti copie di manufatti persiani, di cui si tentano di imitare disegni e impianti. I tappeti indiani sono l'espressione di una stanca e poco originale trasposizione di motivi delle età passate, la maggior parte di essi ha colori tinti chimicamente, trama e ordito sono in cotone anzichè in lana, questo permette però un'annodatura molto fine e precisa. La nettezza del disegno e la solidità della contestura spesso con ordito doppio e file di trama triple o quintuple passate tre volte ciascuna dopo ogni fila di nodi costituiscono i pregi principali di una produzione che gli intenditori di tappeti considerano di genere corrente.
Alcune produzioni indiane:
Agra
Jabalpur
Jaipur
Lahore
Kashmir
1 commenti:
Volevo accennare ad alcune curiosità che hanno contraddistinto le produzioni indiane ottocentesche.
Nel Punjab, ora quasi interamente appartenente al Pakistan, dopo la scomparsa della dinastia Moghul e i danni causati dall’invasione persiana di Nadir Shah, nell’ottocento si riorganizzarono le manifatture. Un modo per avere manodopera a basso costo, fu quello di utilizzare i prigionieri detenuti nelle carceri: il commercio ebbe un discreto successo, soprattutto per i costi competitivi.
Ad Amritsar, fu ideato il ricorso a modelli scritti: il “Talim”. Invece di disegni, il decoro era descritto nodo dopo nodo ed un lettore li leggeva ad alta voce. Più annodatori potevano così realizzare tappeti simili.
Ad Agra, si organizzarono grandi manifatture, sovente anche qui con l’utilizzo della manodopera di carcerati, dai cui telai scesero enormi tappeti, definiti comunemente “palace”, e destinati ai grandi ambienti occidentali. Spesso di ispirazione persiana, pur non avendo grande finezza, godevano di un’eleganza e di una “tavolozza cromatica” fantastica.
Quanto al decadimento del tappeto indiano recente, ha ragione Alberto, pochi sono i prodotti accettabili. Fra questi volevo segnalare gli ottimi tappeti della manifattura “Khamariah”, realizzati al confine con il Pakistan e scarsamente importati da noi a causa di prezzi piuttosto alti. Buona serata.
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